di Carblogger
Et voilà la Renault 5 E-Tech, enfin. Un po’ emoziona, come un’auto nuova in genere non emoziona più. Forse perché ha una linea di un passato che non passa, forse perché fa effetto a chi ha una certa età. Anche se mi sembra lo faccia pure a chi di anni ne ha molti meno, come quel giovane pubblico che s’incontra, che so, ad Auto e Moto d’Epoca, dove la storia s’intreccia a tatuaggi e videogame.
Renault 5 E-Tech, a Nizza ne ho guidata una gialla, colore di lancio insieme al verde mela. Nel 1972, al teatro Marigny di Parigi, la capostipite 5 benzina tre porte (anche cinque dal 1979, oggi è solo a cinque) esordì gialla e arancione. E lanciata dai creativi di Publicis come un’auto dalla vita propria. La chiamarono pomposamente strategia dell’antropomorfismo, parolone per dire fornita di aspetto umano. Un modo per spingere consumatore e prodotto a farli incontrare in qualche modo sul linguaggio. Ad aiutare, bande dessinée.
Et alors: dico subito che la R5 di oggi è un’auto piacevole al tatto, oltre che alla vista. I 110 kW della versione più potente fanno briscola con una piattaforma sviluppata per questa e le altre elettriche Renault 4 e Twingo prossime, con un multilink al posteriore che asseconda bene anche una guida disinvolta tra le curve fuori città. Il tutto condito dal segreto non segreto che ogni macchina moderna dovrebbe rivelare: un peso ridotto (per un’elettrica), 1.449 chili di cui 295 la sola batteria. Bien joué, con la missione obbligata di fare sempre di meglio sul peso, in Renault come altrove.
Renault 5 E-Tech, ma non è delle due o tre cose che so di lei che voglio scrivere. Piuttosto, ho avuto una sensazione su come il marchio cercherà di venderla in un mercato europeo che non ama, o ama poco, le elettriche. Sensazione maturata dopo averne parlato al Salone di Parigi con l’amministratore delegato del gruppo Luca de Meo e poi, a scendere, con i top manager del marketing, del design, della filiale italiana e adesso a Nizza con gli ingegneri che l’hanno sviluppata. Al solito, tutti con ostentato orgoglio (vero od obbligato che sia) per il loro prodotto, anche se per una volta mi è sembrato un po’ di più.
Insomma: ho l’impressione che Renault voglia vendere la 5 elettrica con il messaggio “ehi, guardate, è come se non fosse elettrica”. Un’auto di design emozionale, facendo (quasi) finta che non sia a zero emissioni. Basta evocare colonnine che non si trovano o non funzionano e altre prosaicità del genere: se davvero la desideri, la prendi solo così.
Magari mi sbaglio, ma ecco perché la chiamo Renault 5 elettrica chissenefrega. Un’auto che se ne sbatte delle categorie gramsciane del pessimismo dell’intelligenza o dell’ottimismo della volontà, e punta dritto al subliminale. Alla “voglia di”, all’ “anche se”.
E nel caso l’operazione riuscisse, la 5 chissenefrega ha naturalmente tutte le carte in regola da auto dei nostri tempi per atterrare bene, magari sull’altra categoria gramsciana dell’egemonia culturale. Basta con questa subalternità dell’auto elettrica perché non ha il potere di auto-rappresentarsi di fronte al divenire della storia. Democratizzare l’auto elettrica e sovvertire. Eppoi giacobini si nasce, il resto si vedrà.
Niente Gramsci? Ci resta sempre Dostoevskij per la Renault 5 chissenefrega. Sì, quel principe Miškin de “la bellezza salverà il mondo”. Ma se allo specchio andasse male e non vendesse come la più bella del reame? Ricorderemo le parole di Ippolit: “Signori, il principe afferma che la bellezza salverà il mondo! ed io affermo che idee così frivole sono dovute al fatto che in questo momento egli è innamorato”. Touché vabbè.