Per più di quarant’anni Mirta Acuña de Baravalle, una delle fondatrici delle Madres e delle Abuelas de Plaza de Mayo, ha cercato sua figlia e suo nipote scomparsi durante l’ultima dittatura militare argentina. Si è spenta all’età di 99 anni, senza sapere che cosa fosse accaduto loro. “Abbiamo salutato un’altra combattente”, hanno scritto in un comunicato stampa le nonne con cui ha condiviso l’infaticabile battaglia per ottenere giustizia per le 30mila persone desaparecidas durante il regime di Videla (1976-1983). Era madre di Ana María Baravalle, studentessa di sociologia e militante in un’organizzazione di sinistra, sequestrata in casa sua il 27 agosto 1976 insieme al marito Julio César Galizzi: aveva 28 anni ed era incinta di cinque mesi. “Quel giorno mi sono resa conto che dovevo uscire a cercarla o sarei morta. Senza avere idea di cosa significasse quella ricerca e quella lotta, sapevo che se fossi rimasta a piangere sarei morta presto”, aveva spiegato Mirta Acuña de Baravalle in un’intervista rilasciata al quotidiano argentino Pagina12. Da sola andava ovunque: stazioni di polizia, chiese, carceri, ospedali, obitori per trovare sua figlia o avere informazioni. Fino a quando la sua storia è diventata parte dell’organizzazione per i diritti umani più emblematica e importante dell’Argentina: Mirta è stata tra le prime donne che nell’aprile 1977 hanno iniziato a incontrarsi a Plaza de Majo a Buenos Aires, piazza centrale della capitale, davanti alla Casa Rosada per ottenere risposte sui figli scomparsi. Ha condiviso la sua storia con Nora Cortiñas, scomparsa lo scorso maggio, altra madre simbolo della lotta per la verità.
“L’idea era vederci con chi stava cercando qualcuno. Per caso ci siamo ritrovate 14 madri che cercavano figli e figlie spariti. Cercavamo risposte”, aveva raccontato. In un primo momento, rimanevano sedute sulle panchine davanti al palazzo, sede del governo, con l’obiettivo di essere ricevute e ascoltate. Erano in poche, venivano cacciate e rimandate a casa dai soldati. Mirta stessa aveva raccontato che un giorno aveva osato rispondere a un militare, dicendo: “Che cosa pensavate? Che ci avrebbero portato via i nostri figli e che noi saremmo rimaste con le mani incrociate? Non siete molto intelligenti. Non ci avete considerato e ora avete un problema”. Nell’agosto 1977 era proibito il raduno di più di tre persone ferme nei luoghi pubblici; per non farsi ostacolare, le madri avevano iniziato a camminare attorno alla piramide della piazza a due a due, usando un fazzoletto bianco sulla testa come riconoscimento: il pañuelo, in ricordo della biancheria dei loro figli neonati, e la ronda in piazza ogni giovedì sono diventati i simboli del gruppo delle madri, che ancora oggi marciano tutte le settimane, e il segno di una generazione.
Il 22 agosto 1979 le Madres de Plaza de Mayo sono diventate un’associazione e accanto a loro è nato anche il movimento delle Abuelas de Plaza de Mayo di cui Mirta Acuña de Baravalle è stata co-fondatrice: l’obiettivo era cercare i figli dei propri figli sottratti al momento del parto, i nipoti che non erano ancora nati quando le loro madri furono sequestrate, spesso venivano affidati alle famiglie dei militari. “Che cosa possiamo fare? E così abbiamo iniziato a cercare altre madri che stavano cercando i loro nipoti. All’inizio tutto accadeva in modo rudimentale, poi è diventato sempre più importante denunciare”, ha raccontato in una testimonianza rilasciata alla Biblioteca Nacional Mariano Moreno. “Sapevamo che alla dittatura non importava se un argentino sapeva che si sequestrava, uccideva, torturava. A loro importava che tutto questo non uscisse fuori dal Paese. Ma con le Madres la scomparsa è diventata visibile. Con la nostra presenza in piazza, con le denunce, abbiamo reso visibile la sparizione. Perché una cosa era vedere scritto su un foglio ‘L’hanno portato via’, un’altra cosa era dire “Sì, io sono la mamma e mio figlio è stato portato via mentre era a casa, a lavoro, in strada”.
Ad oggi l’associazione Abuelas de Plaza de Mayo ha ritrovato 300 nipoti. All’appello ne mancano ancora più di 300, tra cui il nipote di Mirta Acuña de Baravalle. Aveva raccontato che sua figlia avrebbe scelto il nome di Ernesto o Camila. “Mi piacerebbe raccontare a Camila o Ernesto chi erano i suoi genitori, chi era suo padre e chi era sua madre. E che sia possibile quel Paese che i nostri figli e le nostre figlie sognavano. È il mio desiderio”.