L’Africa è la sorpresa del Sinodo mondiale, che fine ottobre si è concluso in Vaticano. La rappresentanza delle Chiese cattoliche di tutto il mondo – composta per la prima volta non solo di vescovi ma, per un quarto, anche di preti, religiosi e religiose, laici e laiche fra cui 54 donne con diritto di voto – ha visto la presenza attiva degli esponenti provenienti dal Continente Nero con una consapevolezza che ha archiviato qualsiasi timidezza dovuta allo stato di ex “colonie religiose”.
Il Sud cattolico del mondo ha bussato alle porte del Vaticano, facendo intendere che l’epoca di una supremazia occidentale a priori non è più giustificata. Ma se la voce dell’America latina è da tempo più fievole, se la voce dell’Asia non è particolarmente forte, l’autocoscienza dell’Africa si è fatta sentire.
Un veterano come il cardinale Christoph Schoenborn di Vienna lo ha segnalato con chiarezza: “Quarant’anni fa, al mio primo sinodo nel 1985, le assemblee erano ancora determinate dall’Europa. Il Sud globale (Asia, Africa, America latina) partecipava solo come ospite”. Ora si è aperta una pagina completamente nuova. La grande maggioranza dei partecipanti – vescovi, uomini e donne – vengono dal Sud globale. “Sono loro a dare l’impronta e a portare in campo le loro tematiche e preoccupazioni. Noi che veniamo dal ‘ricco Nord’ siamo diventati minoranza”, ha concluso il porporato.
Due concetti, espressi nei contatti durante il Sinodo, caratterizzano il cambio di passo. Vari vescovi dell’emisfero settentrionale hanno riassunto quanto traspariva dai colloqui con i confratelli africani: “Voi europei siete venuti da noi duecento anni fa e ci avete insegnato cosa fare, adesso non potete venire improvvisamente a dirci di cambiare”. L’accenno riguarda sia le questioni sessuali sia le concezioni sulla struttura gerarchica della Chiesa. L’altra frecciata suona così: voi siete in crisi demografica, le vostre chiese si svuotano, noi invece stiamo fiorendo. E allora come potete venire a dirci come ci dobbiamo comportare? In ogni caso specialmente le madri sinodali africane hanno manifestato negli interventi un grande impegno e una notevole capacità di lavoro nel quotidiano.
E’ un rovesciamento di prospettiva che connota la fase storica attraversata dalla Chiesa cattolica. Una fase che non si limita al regno di un papa o di un altro ma che attiene alla grande transizione del cattolicesimo dalla stagione della “cristianità” (che informava istituzioni, cultura, vivere quotidiano) alla stagione post-secolare in cui le masse nell’emisfero settentrionale non hanno più nemmeno idea di ciò che significa Dio e la tradizione religiosa.
La “primavera” che Paolo VI sognava dopo il concilio Vaticano II non si è verificata. E Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco – ognuno con le sue caratteristiche e la sua linea teologica – non hanno portato ad una ripresa della pratica religiosa. In questa situazione la comunità cattolica di oltre un miliardo e trecento milioni di fedeli, inserita in contesti culturali e sociali assai vari non può più essere governata secondo il centralismo assolutista ereditato dal concilio di Trento. Ma vescovi e fedeli non vogliono nemmeno frantumarsi come è successo alla comunità anglicana, spaccata tra Nord e Sud proprio sulla questione dei vescovi legati ad un partner omosessuale.
Il Sinodo ha rivelato la volontà largamente condivisa di mantenere l’unità intorno ad una voce unica come quella dei pontefici. L’obiettivo è di costruire un’architettura istituzionale riformata che permetta una certa flessibilità a seconda dei contesti socio-culturali, basata su un allargamento deciso della partecipazione dei fedeli – e in particolar modo delle donne – alla vita e ai processi decisionali nella Chiesa.
Il Sinodo ha avuto per certi aspetti un esito inaspettato. La babele di errori dottrinali, che secondo gli ultra-conservatori avrebbe potuto scaturire dall’evento, alla fine non si è realizzata. Non si è realizzato nemmeno il mini-concilio, ricco di dibattiti, che speravano i riformatori.
La ferrea organizzazione in 36 tavoli ha soffocato il confronto assembleare, costringendo tutti i partecipanti ad una sorta di terapia di gruppo per individuare pazientemente i punti più largamente condivisi di un percorso di riforme basato su obiettivi precisi: attuazione di strutture consiliari che includano i laici a tutti i livelli ecclesiali, partecipazione delle donne ai processi decisionali a tutti i livelli, dovere di rendicontazione da parte di tutte le autorità.
Da non sottovalutare due elementi. La questione del diaconato femminile rimane “aperta”. Ed è un colpo al no definitivo di Wojtyla. Inoltre, invece di Chiesa universale nel documento finale si parla di “Comunione delle Chiese”, il che implica un certo grado di autonoma fisionomia delle comunità cattoliche nei vari paesi e contrasta con l’ideologia teologica di Ratzinger. In ultima analisi ogni Chiesa avanzerà sulle linee concordate secondo la propria velocità. Ha detto il presidente della conferenza episcopale tedesca Georg Baetzing: “Il documento sinodale, approvato dal papa, è una road map per il futuro”. Toccherà ai successori di Francesco tenere la barra dritta.