Libri e Arte

“Il coraggio di essere libere”, la storia di Saman in un libro dell’inviato Giammarco Menga: “La libertà che noi diamo per scontata non lo è per molti altri”

Nato da una tragica pagina di cronaca nera, il libro edito da Newton Compton è una dedica a tutte le altre Saman

Nel recensire Il delitto di Saman Abbas. Il coraggio di essere libere” di Giammarco Menga appena uscito per Newton Compton – sulla tragica vicenda della giovane pakistana uccisa dalla famiglia nel maggio 2021 perché rifiutava un matrimonio imposto –, dichiaro subito un conflitto di interessi: ho conosciuto e sono diventato amico di Giammarco.

Durante le ricerche del cadavere della ragazza, Novellara, il paese in cui Saman viveva, è diventato un set televisivo a cielo aperto. Decine di giornalisti di tutte le testate giornalistiche e televisive hanno lavorato fianco a fianco per mesi, condividendo l’ansia e la stanchezza per quella interminabile ed estenuante ricerca del corpo, fra cani molecolari, droni speciali e scanner di ultima generazione, quando ancora si coltivava la flebile speranza che Saman fosse ancora viva, fuggita in un altrove migliore di quello in cui aveva vissuto i suoi primi diciotto anni.

Dicevo che siamo diventati amici sul campo, lui trentenne inviato di Quarto Grado e io del Fatto Quotidiano, inviato H24 perché residente proprio a Novellara, a cinque minuti dalla scena del crimine. Fra noi giornalisti si era creata una sorta di comunità e, fra tutti, mi aveva colpito Giammarco per uno speciale fuoco e un’empatia che lo animava nelle sue indagini e nei suoi servizi per la trasmissione di Rete 4. Sembrava essere coinvolto nella storia in modo particolare e personale tantoché un giorno mi confidò che la sua compagna di origini musulmane, Ayse, aveva un vissuto molto simile a quello di Saman, con la differenza che lei era stata più fortunata: il suo coraggio di rompere con la famiglia, che voleva per lei un matrimonio forzato, era stato premiato con l’incontro salvifico con Giammarco e la sua di famiglia, che l’aveva accolta e protetta. A Saman purtroppo è andata peggio.

Menga ha raccontato al Fatto: “Una dedica è sicuramente per la mia fidanzata, che è di origini musulmane e che ha avuto, come sai, una storia simile a quella di Saman, ma con un finale diverso. Tuttavia, paga ogni giorno, e io ne sono testimone, il risvolto della medaglia di questa scelta perché la libertà che noi diamo per scontata purtroppo non lo è per molti altri e per molte culture. In determinati contesti, a volte occorre combattere per ottenerla. Significa anche dover rinunciare, ad esempio, all’amore primordiale di una madre e un padre, per fortuna trovando degli amori alternativi: quello mio e quello della mia famiglia. Capire cosa significa combattere per la libertà e allo stesso tempo comprendere a fondo questa cultura… ecco, tutto questo è stato permesso anche grazie ai suoi racconti. La sua esperienza non solo mi ha dato spiegazioni, ma anche una spinta in più per scrivere questo libro, oltre che da cronista, da uomo”.

Del suo racconto mi ha colpito un episodio che riguarda Roberto Baggio: “A giugno del 2021 andai a trovare Roberto Baggio, presentato da un amico, e portai con me la mia compagna, che mi aveva accompagnato a Novellara. Pensavo di parlare di calcio, io che ho un trascorso sportivo, e di passare qualche ora a bere in compagnia in questa bellissima villa nel Vicentino dove abita. Invece Baggio, da subito, dopo aver visto il tatuaggio che la mia fidanzata aveva sulla spalla (raffigurante una donna con il velo e con solo gli occhi visibili, molto particolare), se ne esce improvvisamente con questa frase: ‘Ricordati, combatti e vinci oppure arrenditi e muori’. Era come se anche lui avesse percepito dietro quel disegno, pur non conoscendo la storia, la sofferenza che a volte viene nascosta dalle persone. Baggio, con quella frase, ha dimostrato una sensibilità e una profondità d’animo speciale”.

Il racconto delle indagini che ci consegna Menga – nutrito di dettagli inediti – si intreccia a una storia più grande, che è quella di una mancata integrazione. Ma il punto forte del libro è proprio l’empatia dell’autore, che vive accanto a una Saman che per fortuna ce l’ha fatta.

Nato da una tragica pagina di cronaca nera, il libro si configura come una dedica a Saman e alla “sua” Saman, Ayse, ma è soprattutto un monito a tutte le Saman, di oggi e di domani, affinché nessuna donna debba scegliere fra i legami familiari e la propria libertà.