Economia & Lobby

Il risultato senza incertezze delle elezioni Usa spinge Wall Street. Volano Tesla e il bitcoin. Bene le aziende di armi

Ha vinto Donald Trump, affermazione elettorale, in una qualche misura, già prezzata dai mercati nei giorni scorsi. In un certo senso, quindi, il risultato sorprende poco se non per la dimensione della vittoria. L‘assenza di incertezza sul risultato finale, lo scenario più temuto dai mercati, favorisce una certa tonicità delle piazze finanziarie. Spicca il netto […]

Hai già letto 5 articoli
questo mese.

PER CONTINUARE A LEGGERE

1 € PER IL PRIMO MESE

Ha vinto Donald Trump, affermazione elettorale, in una qualche misura, già prezzata dai mercati nei giorni scorsi. In un certo senso, quindi, il risultato sorprende poco se non per la dimensione della vittoria. L‘assenza di incertezza sul risultato finale, lo scenario più temuto dai mercati, favorisce una certa tonicità delle piazze finanziarie. Spicca il netto rafforzamento del dollaro che guadagna quasi il 2% sull’euro e sale pure sulle altre valute.

Wall Street ha aperto in rialzo. L’indice S&P500 avanza del 2% sui massimi di sempre, il Nasdaq dell’1,8%. Volano le azioni Tesla (+ 10%) dopo il sostegno di Elon Musk alla campagna elettorale. Il patron di Tesla risulta essere tra i principali contribuenti con un obolo versato di oltre 130 milioni di dollari. In orbita Trump Media & Technology Group (+ 24%) con capitalizzazione salita a 8,5 miliardi. Guadagno superiore al 22% per Corecivic, colosso dei penitenziari privati, comparto sempre molto sostenuto da Trump. La concorrente Geo Group avanza addirittura del 30%.

Molto bene anche Alphabet (Google) sull’ipotesi che la nuova amministrazione lascia cadere le politiche antitrust più dure e così l’ipotesi spezzatino per la società. Il bitcoin sale di oltre il 7% verso i 75mila dollari: Trump ha detto di voler fare degli Usa la capitale mondiale delle criptovalute. Oro (quello vero) in calo del 3%.

In Asia, Tokyo aveva finito le contrattazioni in decisa crescita (+2,6%). Senza grandi spunti le borse cinesi (Trump ha promesso un ulteriore giro di vite sui dazi) Shanghai -0,1% e Shenzhen +0,1%. Soffre la piazza di Hong Kong, la “finestra” da cui la Cina si affacci sui mercati finanziari globali, che ha chiuso in flessione del 2,5%.

Sui mercati europei c’è il timore dell’effetto di barriere commerciali più dure, con dazi fino al 20%. Gli Usa sono il primo partner commerciale dell’Ue e le aziende dell’Eurostoxx 600 derivano appena il 40% dei ricavi dalle vendite in Europa.

Le borse avevano però aperto in rialzo, salvo azzerare in seguito gran parte dei guadagni. A metà pomeriggio Francoforte cede lo 0,5% e Parigi lo 0,1%. In rosso Milano (- 1%) Londra avanza dello 0,4%. Con le prime letture “a caldo” del nuovo scenario, scattano i titoli dei produttori di armi (Trump chiede ai paesi Nato di alzare i budget per la difesa). A Francoforte Rheinmetall sale di quasi il 2%, la francese Thales a Parigi del 3%. A Milano, Leonardo vicina ad un guadagno del 4%. Negli Stati Uniti, Northrop Grumman sale del 2%, Raytheon dell’1,6% e Lockheed Martin dello 0,6%.

Viceversa pagano dazio (letteralmente) le industrie focalizzate sulle energie rinnovabili. Vestas Wind scende dell’11% a Copenaghen, la portoghese Edpr cala di oltre il 10%. In caduta anche i costruttori di auto europei, primi potenziali bersagli dei dazi. Volkswagen cede il 5,3%, Mercedes il 6,5%, Bmw il 7%. Stellantis, che controlla il marchio americano Chrysler, sale invece dello 0,2%. In lieve rialzo i titoli delle compagnie petrolifere.

Intanto la Federal Reserve, banca centrale statunitense, si appresta a iniziare la sua due giorni di riunione e l’attenzione, oltre che sulle decisioni di politica monetaria, è sul futuro del presidente Jerome Powell. Nominato dallo stesso Trump, Powell è finito sotto una forte pressione durante i primi quattro anni del tycoon alla Casa Bianca. Trump ipotizzò infatti che Powell fosse quasi più dannoso del presidente cinese Xi Jinping. Secondo indiscrezioni, Trump vorrebbe rivoluzionare la Fed concedendo al presidente la possibilità di influenzare se non decidere il costo del denaro, di fatto strappando alla banca centrale la sua indipendenza.