L’accusa pubblica e lo scontro fisico. Poi, le minacce: “La prossima volta che parlerai ancora di mio fratello e di mio figlio, vedrai cosa ti farò e dovrò… vivere con le conseguenze”. E ora, la squalifica. Avrebbe dovuto fare il suo debutto in questa stagione contro i Phoenix Suns, ma così non è stato. E la precaria condizione fisica (questa volta) non c’entra nulla. Joel Embiid, centro dei Philadelphia 76ers, è stato sospeso per 3 gare dall’NBA. Tutto per un alterco avuto con Marcus Hayes, giornalista del Philadelphia Inquirer, esploso con alcuni spintoni e violenza verbale. Rientro in campo posticipato e stipendio (da oltre un milione di dollari) decurtato. “Il rispetto reciproco è fondamentale per il rapporto tra giocatori e media nella NBA”, ha affermato Joe Dumars, vicepresidente esecutivo della Lega. “Sebbene comprendiamo che Joel sia rimasto offeso dalla natura personale della versione originale della rubrica del reporter, le interazioni devono rimanere professionali da entrambe le parti e non possono mai diventare fisiche”. E così, il centro americano si aggiunge alla lunga lista di giocatori fermati e multati dal rigido sistema NBA.
L’episodio – In un recente articolo, Hayes aveva criticato la scarsa professionalità di Embiid coinvolgendo nella discussione anche il fratello Arthur, tragicamente scomparso nel 2014. Il giornalista aveva sostenuto che l’assenza in questo inizio di stagione di Embiid, formalmente a causa di un infortunio al ginocchio sinistro, era pianificata. L’incidente tra i due è avvenuto lo scorso 3 novembre, al termine della sconfitta contro i Memphis Grizzlies. Accuse che non hanno fatto di certo piacere al centro dei Philadelphia 76ers e che hanno portato a qualche spintone di troppo: questi comportamenti hanno costretto l’NBA ad aprire un’indagine.
Un rapporto controverso – “Quando vedo la gente dire che non voglio giocare…Ho fatto troppo per questa città, anche rischiando la mia salute, perché la gente dica questo. Penso che sia una str****a. Come quel tizio, che non è qui, Marcus, ho fatto troppo per questa c***o di città per essere trattato così”. MVP nel 2023 e simbolo della franchigia, Joel Embiid, però, non è mai stato in piena sintonia con la città di Philadelphia e i suoi tifosi. Avevano già fatto discutere le sue dichiarazioni a inizio stagione: “Non giocherò mai più due partite in due giorni in tutta la carriera”. Dichiarazioni che hanno mosso polemiche e critiche, come accaduto nel caso di Hayes. Mentre i Philadelphia 76ers naufragano al 14esimo posto in classifica, la sua stella decide di peggiorare la sua situazione. Non solo in campo, ma con l’intera organizzazione.
La rigidità delle regole NBA – L’NBA non fa sconti a nessuno, nemmeno se ti chiami Joel Embiid. Cattiva pubblicità e violenza non aiutano di certo la lega a promuovere il proprio status di “miglior campionato del mondo”. Per comportamenti sopra le righe e antisportivi, l’NBA risponde con multe e squalifiche. Il centro dei 76ers è solo l’ultimo di una lunga serie. Diserti la conferenza stampa perché non te la senti di parlare? L’ammenda di 25mila dollari diventa una formalità: chiedere a Kevin Garnett che nel 2012 – dopo la sconfitta in gara 7 delle Conference Finals contro Miami – aveva lasciato vuota la sedia davanti ai microfoni. Anche sui social, dare sfogo ai propri pensieri contro avversari o arbitri, non è di certo la miglior scelta possibile. Non solo giocatori, anche alle franchigie sono state imposte regole da seguire alla lettera, per cercare di “rovinare” lo spettacolo che la lega offre. Per contrastare i riposi programmati dei migliori giocatori, che si scontrano con le esigenze dei tifosi e delle televisioni (quali ESPN, TNT e NBA TV), la NBA ha imposto delle regole che si tramutano in multe.
Eccezion fatta per i “veterani” ultra 30enni quali LeBron James, Steph Curry, Kevin Durant e Chris Paul. Un caso celebre, e singolare, è quello legato ai San Antonio Spurs che – nel 2012 – decisero di non schierare 4 titolari fissi nella partita di cartello contro i Miami Heat. Una decisione voluta da Gregg Popovich che costò 250mila dollari alla franchigia texana. Anche la privacy è un aspetto che l’NBA sta tutelando, soprattutto nei confronti delle franchigie che fanno tampering. Letteralmente “manomissione”, si tratta di una pratica illegale che ha l’obiettivo di persuadere allenatori o dirigenti di altre squadre (a scadenza di contratto) per cercare di farli firmare per la loro. Una condotta ritenuta controproducente e sleale. Un’accusa di tampering provoca multe e sospensione dei dirigenti. L’NBA chiede rispetto e tolleranza, soprattutto nei propri interessi. Per qualsiasi comportamento.