La spinta protezionistica che arriverà dall’amministrazione Trump, uscito vincitore dal duello con Kamala Harris per la Casa Bianca, spaventa l’Europa che già fa i conti con la crisi tedesca e la frenata dell’industria dell’auto. Non è un caso se mercoledì i titoli dei grandi costruttori automobilistici tedeschi sono andati a picco in borsa. Le mosse del futuro 47esimo presidente dovrebbero preoccupare non poco anche l’Italia, il cui export nonostante il trionfalismo del governo è in calo già dal 2023. “Siamo tra i mercati più esposti agli Stati Uniti nell’ambito dei Paesi europei. Una chiusura commerciale americana ci penalizza in maniera dunque maggiore: i settori più esposti sono quello alimentare, quello dell’automotive, quello della chimica, in misura minore quello della moda“, spiega Carlo Altomonte, docente di Economia all’Università Bocconi di Milano. Che prevede: “L’alternativa potrebbe essere quella di negoziare con Trump, uno che ama chiudere accordi: l’Europa potrebbe impegnarsi ad esempio a comprare armi statunitensi da destinare all’Ucraina, riducendo dunque la portata di quell’impegno agli Usa, e in cambio chiedere tariffe più basse”.

Il tycoon come è noto ha minacciato di introdurre dazi di almeno il 10% su tutti i prodotti importati negli Stati Uniti. Secondo gli analisti di Dbrs Morningstar i settori europei più esposti “sono quello farmaceutico, automobilistico e dei prodotti chimici, che rappresentano la parte del leone delle esportazioni europee verso gli Stati Uniti”. Dbrs evidenzia come l’Europa e le sue imprese siano “altamente esposte” ai dazi statunitensi in quanto gli Usa rappresentano “la principale destinazione” dell’export europeo: nel 2023 il 20% è andato negli Usa, contro il 13% diretto alla Gran Bretagna e il 9% alla Cina. In termini di beni il surplus commerciale europeo è stato di 157 miliardi di euro, valore che però “è molto più piccolo” includendo anche i servizi. La riduzione dei volumi di export non potrà essere compensata dalla domanda interna o di altri mercati. Nel medio termine “le aziende europee potrebbero spostare una quota maggiore della produzione negli Stati Uniti“, ma se si tratta di una transizione “probabilmente costosa” che “richiederebbe anni per diventare operativa”.

Secondo gli analisti di Deutsche Bank l’impatto maggiore si avrà su Volkswagen, in particolare su Porsche, data la sua impronta produttiva esclusivamente europea, ma nel mirino finiscono anche BMW e Mercedes a causa delle loro esportazioni dagli Stati Uniti alla Cina. JPMorgan fa notare che se la vittoria di Trump si traducesse in un congelamento dei progetti eolici offshore, potrebbero esserci implicazioni negative per le utility. Infine i dazi sulle importazioni avrebbero implicazioni significative per i titoli delle bevande e in particolare per quelli degli alcolici.

Bloomberg fa notare che le società dell’S&P 500 al momento “realizzano il 72% delle loro vendite negli Stati Uniti”, mentre quelle dello Stoxx 600 europeo fatturano solo il 40% all’interno della propria regione. Gli Stati Uniti sono di gran lunga il principale partner commerciale dell’Unione Europea, con un interscambio di 952 miliardi di dollari nel 2023. La Commissione Europea e la banca ABN Amro hanno entrambe stimato che in uno scenario con tariffe del 10% le esportazioni verso gli Stati Uniti potrebbero diminuire di circa un terzo. I grandi perdenti sarebbero i maggiori esportatori Ue, Germania e Paesi Bassi, ma l’impatto negativo riguarderebbe molti altri Paesi europei. Se poi Trump traducesse in pratica anche l’idea di dazi del 60% o più sulle importazioni cinesi, la situazione si aggraverebbe. La Commissione Ue dal canto sta già lavorando a una risposta, che potrebbe dare origine a una guerra tariffaria.

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