Entra in sala un po’ inseguito dai fan, perché il divo orma è lui. Non Andreotti. Non Servillo.
È Paolo Sorrentino la star della serata al cinema Rouge et Noir di Palermo. La sala, lunedì sera, è strapiena. Sono tutti accorsi per ascoltare il divo parlare col suo pubblico prima della proiezione di Parthenope. Un dialogo, un dibattito: sulla carta doveva essere questo ma in pochi istanti la performance del regista fa impallidire l’Uno contro tutti di Carmelo Bene al Maurizio Costanzo Show. Sorrentino fulmina tutti con risposte spiazzanti, al limite del disprezzo, che Bene in confronto pare un Bruno Vespa qualsiasi, quasi un Gigi Marzullo.
Chiede al pubblico di fargli domande ma poi le domande sembrano irritarlo. Perfino la conduzione della serata pare irritarlo. Gianmauro Costa, direttore artistico del Cinema che a Palermo è cuore pulsante della vita culturale della città, si affanna a tenere le fila di una serata ormai imprendibile. Lui è incontenibile, bypassa tutti, chi porta il microfono tra la platea, chi conduce. Indica chi deve intervenire. Dà risposte secche. O non ne dà affatto. E poi di botto chiude: “Ora io dirò quest’ultima cosa sul film e poi la presentazione finirà perché così non va”. E lo fa. Dice un’ultima frase e poi si alza e se ne va, poco più di dieci minuti dall’inizio, lasciando una platea se non delusa, sicuramente esterrefatta.
L’ultima cosa che dice sul suo film è che è un “film sentimentale”. C’è sentimento, non elucubrazioni, vuol dire, al pubblico, reo di fare domande banali: uno spettatore addirittura si inceppa con le parole e parla di “importanza importante”, e Sorrentino non lascia correre: “Be’, adesso però troviamo il modo di organizzare le parole”. Mentre Costa, viene ripreso perfino per avere usato la parola “percorso”.
Pare il siparietto di Bene con Roberto D’Agostino. “Non sono mai nato”, diceva Bene a D’agostino che dalla platea del Maurizio Costanzo Show gli dava dell’antitaliano. “Me ne frego di Carmelo Bene io, voi no, ma io sì”, rispondeva il grande attore e drammaturgo. Un immenso performer che rivolgeva alla platea una disconnessione dal flusso linguistico e semantico quotidiano, dallo stanco “percorso” del pensiero collettivo.
Sorrentino non pare affatto infischiarsene di Sorrentino, ma scimmiotta Bene involontariamente, irritato per le parole, per la ricostruzione, per il filo conduttore o la piega che stava avendo questo parlare di un film prima di aver visto il film. Ma al netto di tutto, quello al Rouge et Noir lunedì sera a Palermo è, certamente, sembrato un Sorrentino poco incline ad incontri con il pubblico. E poco male, in fondo, il pubblico non va sempre coccolato, accontentato. Non va nutrito di frasi fatte. Non accompagnato in luoghi comuni. Può esser perfino schiaffeggiato sull’uso di parole come “percorso” nel solco del migliore Nanni Moretti.
Ma soprattutto, verrebbe da dire, il pubblico non va per forza incontrato. Si può assolutamente non fare. Detto tutto ciò, non ci si pente di avere fatto una corsa – da vere fan del regista napoletano quali si è assolutamente – per arrivare in tempo ad ascoltarlo. Non si era a Roma per Bene. Ma si era a Palermo per Sorrentino. Una boccata d’aria fresca in un mare di banalità, senza dubbio.
A proposito del mare, tuttavia, viene in mente quella frase con cui chiude il film Parthenope: “Dio non ama il mare”. E si fa strada un solo vero rammarico. Quello di non avere fatto in tempo in quei pochi minuti in cui è rimasto in sala a sfidare il timore di una reazione degna di Palombella Rossa e fargli un’altra domanda. Ma perché Dio non ama il mare? In che senso? “Percorso” no, va bene, ma questa frase invece sì? Peccato.