Mondo

Trump come Cesare: con le disuguaglianze vince il populismo e perde la democrazia

di Giuseppe Castro

“La storia è maestra di vita”. Il significato più profondo di questo motto, normalmente usato per convincere gli studenti ad aprire il libro di storia, è che secolo dopo secolo, millennio dopo millennio, gli uomini sono sostanzialmente sempre gli stessi, e di fronte a scelte o situazioni similari, gli uomini del XXI secolo dopo Cristo tenderanno a fare scelte del tutto equivalenti a quelle degli uomini del XXI secolo avanti Cristo.

Quanto appena avvenuto in Usa ha delle interessantissime analogie con quanto avvenuto durante la crisi della Repubblica Romana, nel I secolo a.C. Le guerre di espansione della repubblica romana avevano portato alla crescita di profonde diseguaglianze all’interno della società romana. I costi delle guerre erano pagati da tutti, mentre i benefici andavano essenzialmente alla classe dirigente, quella senatoriale. In particolare, la classe senatoriale era riuscita ad abbassare pesantemente il costo del lavoro mediante l’arrivo di manodopera a basso costo (gli schiavi) dalle guerre di conquista.

Questa situazione aveva impoverito pesantemente la classe di piccoli contadini, la piccola borghesia di allora, la cui merce non era più competitiva sul mercato, e che si era ritrovata costretta ad emigrare nelle grandi città e a confluire nella classe popolare, sottoposta alle angherie dei potenti. Semplificando un po’, la società romana si trovò rapidamente polarizzata tra la classe senatoriale, la Confindustria del mondo antico, e una classe popolare costituita dalla maggioranza della popolazione, poverissima.

A sostenere le istanze del popolo erano esponenti dei populares, paragonabili a dei populisti del mondo antico. Gli esponenti dei populares, infatti, non erano altro che esponenti della classe dirigente che appoggiavano le istanze popolari per scopi prevalentemente personali e carrieristici.

Le guerre civili (Mario contro Silla, Cesare contro Pompeo), scaturirono da questa polarizzazione. Ad un esponente del senato come Silla e poi Pompeo, si opponeva un esponente dei populares, prima Mario e poi Cesare.

Nel mondo occidentale, e in particolare in Usa, la situazione è molto simile. La globalizzazione e il conseguente accesso a nuova manodopera a bassissimo costo, gli schiavi di oggi, hanno impoverito la classe media americana. Come 21 secoli fa, la classe media impoverita e spaventata dalla globalizzazione ha smesso di identificarsi nel partito che rappresenta gli interessi dei ceti sociali più alti, il partito democratico, e ha appoggiato il candidato populista, il repubblicano Trump, fidandosi delle sue promesse, in assenza di altre scelte che la classe dirigente non può e non vuole fornire.

Ventun secoli fa finì malissimo. Giulio Cesare, dopo la vittoria su Pompeo, mise fine alla repubblica romana e instaurò una dittatura personale trasformata in impero dai suoi successori. La dittatura era sostenuta dai ceti popolari, che vedevano nel potere di uno lo strumento per difendersi dallo strapotere di molti.

Non sappiamo naturalmente quali siano gli obiettivi di Trump, né dove voglia andare realmente a parare. Sarebbe sbagliato pensare che la storia si debba ripetere sempre esattamente allo stesso modo. Tuttavia, quello su cui dobbiamo focalizzare la nostra attenzione è il percorso storico, che è chiarissimo: le democrazie stanno sempre peggio e le nostre società si stanno polarizzando in una lotta tra una classe dirigente appoggiata da un arcobaleno di partiti e una classe popolare che si appiglia al potere di svariati personaggi, spesso populisti, che si dicono pronti a difenderne gli interessi.

Il serissimo rischio è che, come nel mondo antico, le nostre democrazie vengano gradualmente svuotate di ogni significato e trasformate prima in democrazie illiberali e poi, tra qualche anno, in dittature personali.

La strada maestra, tanto chiara quanto inapplicata, non può non essere che cominciare a costruire un partito che faccia realmente (e non fittiziamente) gli interessi delle classi meno abbienti.

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