di Stella Saccà
Lo avevano detto in tutti i modi i milioni di americani a favore di un embargo alle armi mandate a Israele. Lo avevano detto che avrebbero votato per West, Stein, De La Cruz, Chase Oliver. Lo avevano detto e lo hanno fatto. Con coraggio. Perché votare sapendo che il prezzo da pagare è avere altri 4 anni di Trump come presidente è un atto di coraggio estremo.
Ma da qualche parte, per smantellare il sistema a due partiti, bisogna cominciare. E forse tra vent’anni, anche gli elettori anziani, immigrati, sapranno che in realtà altre opzioni ci sarebbero state per non andare ai seggi col naso tappato, perché non ci sono solo i democratici e i repubblicani.
Israele è costata l’America ai democratici. Gli Stati democratici sono rimasti blu, ma Trump si è preso la Georgia, il Wisconsin e la Pennsylvania, che aveva perso nel 2020. E si è ripreso anche il Michigan, che aveva ceduto a Biden quattro anni fa, in cui i voti arabi sono andati al Green Party guidato da Jill Stein per oltre il 20%.
Ieri sera, in uno dei seggi di North Brooklyn, a New York, la fila era ormai smaltita. Non c’era un clima rilassato, ma rassegnato.
Alla domanda per chi avessero votato, quasi tutti hanno risposto Kamala Harris, ma con il viso e le mani di chi ha pensato da subito “e che avrei dovuto fare”? Tutti erano critici con Israele ma non votare, o votare indipendente, non lo hanno minimamente considerato. Anche perché non sapevano nemmeno che si potesse fare. Poi si sa: New York, come California e il New England, sono sempre stati blu. A differenza degli elettori presenti nel distretto 11222 di Brooklyn, moltissimi altri hanno scelto di votare per un candidato che rappresentasse i loro valori, e non per il “lesser evil“, “il meno peggio”. Sono soprattutto i giovani, e gli arabi musulmani.
Non che la situazione in Medio Oriente cambierà con Trump: anzi, ha detto chiaramente in campagna elettorale che Israele continuerà ad avere il via libera, ha più volte parlato di “problema musulmano” e perfino usato il termine “palestinese” per offendere. Probabilmente andrà peggio. Ma non tutti se la sono sentita di dare il proprio voto a chi ha tradito la loro fiducia su questioni così fondamentali come il diritto umano alla vita.
I democratici non sono riusciti a cancellare i litri di sangue che hanno contribuito a versare, mettendo Kamala Harris al posto di Joe Biden. Pensavano sarebbe bastato, che l’idea di una presidente donna e afroamericana avrebbe convinto gli indecisi. E invece per molti, che sono stati decisivi, ha prevalso il rosso. Anche tanti afroamericani hanno votato indipendente, e hanno concepito la sponsorizzazione di Harris per il suo sesso e per il colore della sua pelle come un ennesimo atto di razzismo.
La notte tra il 5 e il 6 novembre a Brooklyn è stata contrassegnata da un silenzio surreale. É sembrato quasi che nessuno abbia nemmeno ordinato cibo a domicilio perché non si sentivano macchine, motorini, clacson. Si sentiva il silenzio. Solo quello. Forse gli americani di New York City hanno cucinato, come non capita spesso, per non pensare ai numeri che già dalle 7 di sera iniziavano ad arrivare.
Oggi sarà una giornata ancora più silenziosa, almeno negli stati andati ai democratici. Non si parlerà per strada, non è così comune “doing politics” apertamente, ma ci si guarderà e si comunicherà con gli occhi, si terrà la spilletta ‘I voted’ sulle giacche delle collezioni estive, perché fa ancora caldo, e si darà la colpa a chi ha votato per gli indipendenti.
Si dirà loro che il voto mancato per Harris ha favorito uno stupratore. Ma essi non risponderanno, penseranno solo alle immagini dei soldati israeliani legittimati a violentare chiunque, che Biden e Kamala Harris non hanno fermato. Verrà loro gridato che non hanno pensato alle giovani donne che non potranno rispondere del proprio corpo, agli immigrati… Ma essi non risponderanno, penseranno al muro al confine col Messico che in 4 anni non è andato giù, e alle donne di Gaza, che vorrebbero partorire ma sanno che daranno vita solo alla morte. O morte alla vita.