Economia

Concordato preventivo tra fisco e partite Iva, Leo ha perso la scommessa e lo Stato rischia di perdere gettito invece di guadagnarci

Il concordato preventivo biennale, cavallo di battaglia del viceministro Maurizio Leo, è stato un flop. E non solo perché gli incassi che arriveranno dal patto tra fisco e partite Iva, stando ai primi “carotaggi” ufficializzati via Sole 24 Ore, si fermano sotto le attese del governo e sotto le stime originarie del Mef, azzerate quando la maggioranza ha deciso di spalancare le porte del nuovo strumento anche ai probabili evasori. Peggio ancora, Leo ha perso la scommessa su cui si basava l’intera architettura del concordato. Preso atto che l’Agenzie delle Entrate non ha le forze per fare sufficienti controlli, il tributarista e deputato di Fratelli d’Italia contava di combattere l’evasione “tendendo la mano” ai contribuenti infedeli e portandoli gradualmente a dichiarare di più. I numeri mostrano però che solo una piccola minoranza di quella platea ha aderito. Con il risultato che l’operazione – di cui il governo è in procinto di varare una riapertura via decreto – rischia di essere addirittura in perdita per lo Stato.

Partiamo dai dati annunciati da Leo. La proposta sul reddito da dichiarare nel 2024 e 2025 è stata sottoscritta da poco più di 500mila partite Iva, tra cui poco più di 100mila autonomi in regime di flat tax (il 6% del totale) e 403mila contribuenti che applicano gli Indici sintetici di affidabilità fiscale (15% del totale). Tra questi ultimi però quelli che avevano “pagelle” sotto la sufficienza e hanno accettato di dichiarare molto di più, in modo da arrivare a un voto Isa pari a 10, si fermano a 160mila. Solo il 10% degli 1,5 milioni di “inaffidabili” ha quindi scelto la strada auspicata dal viceministro. Gli altri 243mila sono invece contribuenti Isa che avevano già punteggi sufficienti, cioè superiori a 8.

È con queste premesse che va valutato il gettito che entrerà nel fondo per l’attuazione della delega fiscale grazie al concordato. Il viceministro ha parlato di “oltre 425 milioni per il 2024 e 865 milioni per il 2025″ – la differenza dipende dal fatto che nel primo anno di applicazione si tiene conto solo per il 50% del maggiore reddito – per un totale di 1,3 miliardi. Ma quanto avrebbe incassato l’erario senza la misura voluta da Leo? Chi aveva già un Isa accettabile avrà aderito, con tutta probabilità, solo perché prevede per l’anno prossimo un aumento del giro d’affari e quindi redditi effettivi superiori alla cifra calcolata dalle Entrate. Insomma: senza concordato avrebbe dichiarato di più. E pagato molte più tasse, perché all’intera cifra si sarebbero applicate le normali aliquote Irpef, mentre sulla differenza tra il reddito dichiarato l’anno prima e quello oggetto del concordato con il fisco si versa un’imposta sostitutiva con aliquota che per chi ha Isa sopra l’8 si ferma al 10%.

Lo stesso ragionamento a maggior ragione vale per i 100mila “forfettari”, per i quali il concordato vale solo per il 2024: al 31 ottobre, termine per aderire all’accordo, ormai avevano un’idea chiarissima del loro reddito complessivo per quest’anno. Se hanno accettato l’offerta del fisco è perché va a loro vantaggio, non certo perché “conviene allo Stato” come da spot del Tesoro. Non solo: è probabile che una parte abbia sfruttato il salvagente offerto da Leo per evitare di perdere il vantaggio della flat tax. Infatti chi “concorda” è esentato dal rispetto del tetto di ricavi di 85mila euro oltre il quale si torna nell’Irpef. E può arrivare a 150mila euro senza che le Entrate possano revocare l’intesa.

Discorso diverso per i 160mila probabili evasori. Loro, che in media dichiarano poco sopra i 22mila euro contro i 78mila dei “virtuosi”, si sono visti proporre ai fini del concordato un reddito molto più alto e hanno detto sì. Un “risultato straordinario”, come ha detto Leo? Magari determinato dal timore di subire accertamenti in caso di mancata adesione? Difficile sostenerlo se si tiene conto, anche in questo caso, di come si sarebbero mossi senza il concordato. Lo scorso anno, come ricordato dal Sole, 171mila contribuenti Isa con voto basso ha spontaneamente deciso di migliorarlo (per ottenere i vantaggi già riservati ai più affidabili) indicando in dichiarazione dei redditi ricavi che non risultavano dalle scritture contabili e facendo così emergere 2,18 miliardi di base imponibile. Nel 2021 la stessa opportunità, stando ai dati raccolti dalla Corte dei Conti, era stata sfruttata da 143mila soggetti, nel 2019 da oltre 210mila. Insomma: il concordato non ha cambiato nulla, se non per il fatto che consente di mettersi in regola versando sul maggior imponibile molto meno (12% con Isa 6 o 7, 15% nel caso sia sotto il 5) di quanto si pagava prima, quando il maggior reddito finiva nell’imponibile Irpef.

Nel complesso, l’intera operazione potrebbe quindi chiudersi con incassi per lo Stato inferiori a quelli che si sarebbero ottenuti senza la trovata ispirata a un’idea di Giulio Tremonti. Resta invece da capire quanto arriverà dalla sanatoria aggiunta in corsa: chi ha aderito ha potuto mettersi in regola per il nero fatto tra 2018 e 2022 versando entro il 31 marzo 2025 oppure a rate tra il 5 e il 7% del dovuto. Un’adesione così bassa da parte dei contribuenti meno virtuosi fa presagire però cifre limitate. Da cui andranno peraltro sottratte le coperture – 212 milioni per il 2025, quasi 1 miliardo in totale – previste dagli stessi parlamentari di maggioranza che hanno voluto il condono. Che, in quanto tale, costringe l’erario a rinunciare a una fetta importante delle risorse che avrebbe potuto recuperare se non avesse fatto sconti.