“False dichiarazioni e reticenze”. Il pm di Caltanissetta, Maurizio Bonaccorso, ha chiesto il rinvio a giudizio per i poliziotti Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi, Angelo Tedesco e Maurizio Zerilli per il reato di depistaggio. Ai quattro, ex appartenenti al gruppo di indagine “Falcone-Borsellino”, viene contestato di aver mentito quando avevano testimoniato nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio che si era concluso, in secondo grado, con la prescrizione del reato di calunnia per i tre imputati. Non luogo a procedere, quindi, per intervenuta prescrizione per Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.
“A parte alcuni singoli casi di false dichiarazioni che si riferiscono a episodi specifici, ad esempio la falsa dichiarazione di Di Gangi su una pistola puntata a Scarantino durante una colluttazione a San Bartolomeo a Mare, tutte le altre false dichiarazioni e reticenze, mascherate da non ricordo, si riferiscono – continua il pm – a punti oscuri dell’indagine su Scarantino che rappresentano elementi chiavi dell’inquinamento probatorio. Per comprendere l’atteggiamento dei testi, oggi imputati, occorre analizzare alcuni elementi scottanti. – ha detto il pubblico ministero – C’è la percezione di muoversi in un campo minato dove una risposta sbagliata può avere conseguenze devastanti. Per comprendere appieno quello che è l’atteggiamento di assoluta malafede dei testimoni che hanno fatto parte del gruppo ‘Falcone-Borsellino’ sarebbe necessaria un’analisi di quella che è l’evoluzione dei processi che nel corso degli anni si sono celebrati”.
Maniscaldi, che nel ’93 era entrato a far parte del gruppo di indagine “Falcone-Borsellino”, costituito alla Squadra Mobile di Palermo per fare luce sulle stragi, del ’92 ha respinto le accuse. Nel corso dell’esame del suo legale, l’avvocato Giuseppe Panepinto, l’imputato ha affermato di non aver mai mentito nelle deposizioni rese al primo processo sul depistaggio celebrato nei confronti di altri tre funzionari di polizia Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. “Non ho mai nascosto nulla”, ha detto in aula. “Sono definito la memoria storica del gruppo perché ho letto le carte tante volte”. Il pm ha chiesto all’imputato se la precisione e la puntualità mostrata nell’ambito delle sue deposizioni fosse legata a un’ottima memoria o all’aver studiato bene gli atti del processo. “Le dichiarazioni del depistaggio le confermo integralmente. Ero sotto giuramento e ho detto la verità”, ha ribadito poi Maniscaldi al pm. “Riconosco le mie firme sui brogliacci relativi alle intercettazioni fatte durante la permanenza di Vincenzo Scarantino a San Bartolomeo a Mare” ha detto Maniscaldi che, in qualità di componente del gruppo di indagine Falcone Borsellino si era occupato dell’attività di ascolto delle intercettazioni a carico di Vincenzo Scarantino.
Quest’ultimo secondo la ricostruzione della procura di Caltanissetta, nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio, era stato imbeccato dai poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo per costruire una falsa verità sulle stragi. “Normalmente i telefoni vengono messi sotto controllo per attività d’indagine. Le intercettazioni sul telefono di San Bartolomeo a Mare non riguardavano un’attività di indagine. Quel telefono era stato messo lì per capire se Vincenzo Scarantino venisse convinto dai parenti a ritrattare, ma non c’era una vera e propria attività di indagine nel senso proprio del termine”.