Donald Trump ha raggiunto la sua seconda presidenza, migliorando, in quasi tutte le contee, il risultato ottenuto nell’elezione del 2020, mentre Kamala Harris ha perso 5 punti fra i giovani e 3 fra le donne rispetto al risultato di Biden nella stessa elezione. Come successe per Hillary Clinton le donne non hanno votato, in modo massiccio, una donna. La lettura di questi dati ci pone di fronte ad un interrogativo che ci facciamo spesso. Perché le donne sembrano frenate a votare una candidata del loro stesso sesso.

Concorrono molti fattori: primo fra tutti è che, potrebbe sembrare ovvio, le donne non sono tutte uguali, nel senso che per molte non è considerata importante l’appartenenza di genere e quindi il voto viene dato valutando principalmente altri elementi. Più volte abbiamo sottolineato come non basta essere donna per mettere in atto politiche a favore delle donne, non basta essere donna per comprendere e immedesimarsi in quante discriminazioni ancora subiscono le donne e agire per abbatterle.

Kamala Harris, però è una donna che si è sempre battuta per i diritti delle donne e delle minoranze, che donna e nera sembrava essere il simbolo della lotta al patriarcato e al razzismo e che si è trovata di fronte un candidato maschilista, sessista, accusato più volte di molestie. Un uomo che incarna il patriarcato più bieco, che nega l’aborto e quindi l’autodeterminazione delle donne, che dice: “Proteggerò le donne, che a loro piaccia o meno”. Con questi presupposti sembrava che, questa volta, il voto di una grande maggioranza di donne confluisse sulla candidata democratica ed invece non c’è stato l’impatto sperato e, anzi dalle prime valutazioni pare che Harris abbia ottenuto meno voti dall’elettorato femminile rispetto a Hillary Clinton e allo stesso Biden.

Quale è la chiave di lettura di questi dati? Sembra che i toni usati da Trump nella campagna elettorale, pieni di offese, volgarità e sessismo nei confronti dell’avversaria e verso tutto il mondo femminile, abbiano giocato a suo favore anziché ostacolarlo, spingendo molti maschi bianchi, ma anche tanti afroamericani, a votare per l’ex presidente, spaventati dalla perdita di potere e travolti da quanto, nell’immaginario collettivo, potesse rappresentare avere una donna, per di più nera, a capo della più grande potenza mondiale.

Ma anche una certa percentuale di donne, conservatrici e reazionarie, molto più interessate alla difesa del loro potere d’acquisto che non a quella dell’autodeterminazione, molto più ostinate a difendere la loro “comfort zone” con misure securitarie che non i diritti civili, molto influenzate dalla politica martellante della destra sulla paura dell’immigrazione da respingere in qualunque modo e a qualunque costo, sono andate in soccorso di Trump, magari non amandone i toni volgari, ma colme di inquietudini e ansie che la destra, come sta succedendo anche nel nostro continente, sa cavalcare e tramutare in consenso proponendo ricette tanto facili quanto inefficaci.

Certo, la lettura di genere è senz’altro limitativa per poter analizzare il voto di un Paese con oltre 330 milioni di abitanti, così differente per composizione, così ricco di etnie e religioni, così diseguale da un punto di vista sociale ed economico. Ma certo ha sorpreso che gli Stati Uniti che sono stati fra i primi a evidenziare la questione femminile, a lottare per l’autodeterminazione delle donne, a mettere in atto politiche di contrasto agli stereotipi e alle discriminazioni, ad individuare azioni positive per rompere il “soffitto di cristallo”, ancora fatichino a considerare una donna all’altezza di governare il loro Paese.

Anche il tema dell’aborto che tante donne aveva mobilitato dopo l’annullamento della storica sentenza “Roe vs Wade” sull’aborto garantito a livello federale con una decisione della Corte Suprema, fortemente voluta da Trump, e la cui difesa è stata al centro della campagna elettorale di Harris, non ha innescato l’effetto sperato dai democratici, o meglio non ha portato acqua al mulino della vicepresidente, e stupisce che i referendum per rimediare agli effetti della sentenza del 2022, proposti in 10 Stati (contemporaneamente al voto presidenziale) solo in tre non abbiano avuto successo (Florida, South Dakota e Nebraska) mentre negli altri sette: Arizona, Colorado, Maryland, Missouri, Montana, Nevada e New York, con graduazioni diverse, ha invece prevalso il diritto alla libertà di scegliere se interrompere la gravidanza. Anche questi dati, che sembrano incongruenti, devono farci riflettere

La delusione, il senso di impotenza e di ineluttabilità di fronte a questo risultato sono sentimenti comuni in queste ore a tante donne progressiste di tutto il mondo per cui è insopportabile pensare che questo politico, per cui non ci sono parole adatte per descriverlo, sia diventato ancora una volta Presidente dello stato che, nel bene e nel male, condiziona le sorti di tutto il mondo e che ancora una volta una donna non ce l’abbia fatta tanto da far dire a molte: “Per far vincere una donna negli Stati Uniti devi candidare due donne”.

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