Cosa ci facevano quegli studenti universitari internazionali il 25 ottobre scorso nella casa della Pastorale Migranti di via Cottolengo 24 a Torino, sotto la grande magnolia – dove capitano sempre cose importanti – insieme a molti volontari, quasi tutti ben più vecchi di loro? Festa. Facevano festa, con cibo di tutti i generi e provenienze, stand delle loro associazioni e tanta musica, non così invasiva da impedire conversazioni e scambi. Prima i volontari e alcuni ragazzi avevano trascorso un paio d’ore a ragionare su quali migliorie introdurre all’apprendimento/insegnamento dell’italiano e delle materie di studio, così da rendere più efficace e interessante il loro impegno. Il tutto seguito da un serrato confronto sulla Pace e su cosa fare per affrontare i conflitti.

Durante la festa, insieme al piacere di esserci, girava anche qualche altra considerazione su come potenziare l’impegno all’integrazione attraverso il sostegno all’abitazione, all’apprendimento rapido della lingua attraverso l’aiuto allo studio. E poi cibo per chi non ha soldi e servizi di integrazione burocratica, socialità, lavoro, insomma tutto ciò che concorre a determinare benessere, agio, in noi indigeni e negli stranieri giunti fin qui.

Tra gli studenti universitari stranieri che arrivano a Torino, alcuni sono finanziariamente ben sostenuti dalle famiglie, altri meno e necessitano di servizi di supporto materiale. Tutti però hanno bisogno di imparare bene e in fretta la lingua (serve per studiare, l’inglese non sempre è sufficiente), di trovare una residenza dal prezzo abbordabile, qualche lavoretto per integrare e sportelli per affrontare un mondo complesso ed estraneo. Tra di loro ci sono quelli che, una volta finiti gli studi, resteranno in Italia, in Europa, e quelli che se ne torneranno nel loro paese, esportando Torino, l’Italia, la lingua, la cultura e le relazioni costruite nel frattempo.

Alla Pastorale Migranti, una porzione considerevole del Distretto Sociale Barolo, trovano un sostegno, spesso individualizzato, fornito da volontari – parecchi sono docenti universitari, prevalentemente in pensione -, disponibili a studiare con loro e ad accompagnarli nel percorso che li porterà alla laurea. Sono tanti, sono giovani e, una volta capito lo spirito del posto, sono pronti a diventare a loro volta volontari a disposizione dei loro colleghi meno attrezzati di loro.

La festa degli studenti internazionali del 25 ottobre si colloca nel novero delle iniziative della quarta edizione del Festival dell’Accoglienza: 96 appuntamenti distribuiti in 45 giorni – ruotano intorno al 29 settembre, Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato – dal 14 settembre al 31 ottobre, con un appuntamento finale il 13 novembre per fare un bilancio e pensare al Festival del 2025. Tema di quest’anno “Un camino da fare insieme”. Si tratta di un Festival orizzontale, ideato dalla Pastorale Migranti della Diocesi di Torino e da AGM Associazione Generazioni Migranti, ma generato con il concorso di associazioni, gruppi e realtà impegnate nel mondo dell’accoglienza e non solo in quello (ne ho contate 89 fra quelle impegnate in almeno una delle iniziative del Festival, si trovano nel programma).

Un Festival diffuso, perché impegna e coinvolge i tanti luoghi di Torino che fanno accoglienza e spesso accoglienti lo sono anche per cultura e tradizione. Quando una comunità, di obiettivi e di sentimenti, cresce e si allarga, crescono anche gli spazi associativi e i luoghi dove intercettare bisogni, spinte, esigenze e disponibilità. Così si aumentano le possibilità di partecipazione. Il Festival dell’Accoglienza è ogni anno più potente proprio perché opera con la forza di una lettura evoluta dell’accoglienza, ben oltre la carità e la messa in pratica dei buoni sentimenti.

E’ anche la dimostrazione, come non cessa di ricordare Sergio Durando, Referente della pastorale Migranti, di quanto la narrazione del migrante operata dai mass media sia lontana dal sentire comune e dalla pratica che ne consegue: i volontari aumentano, aumenta la disponibilità al sostegno anche con piccoli impegni e contributi, aumenta la sensibilità verso una idea del mondo senza troppi muri, molta legalità e tanta profondità nell’affrontare i problemi epocali delle migrazioni e del mondo post-coloniale.

“Passare dall’offerta di servizi a cittadini stranieri alla creazione della democrazia con l’integrazione. Uscire dalla logica prestazionale per costruire spazi di partecipazione inter/religiosa”, è la sintesi di un grande obiettivo praticato ogni giorno. La Pastorale i servizi li offre: risolvono problemi, danno sostegno in tutti i campi, generano incontri, promuovono cultura e socialità. Non tralasciano neppure i compiti eminentemente confessionali, dando sostengo alle 13 cappellanie (parrocchie con assistenza religiosa per stranieri in lingua: come fa un cattolico cinese a confessarsi se il prete che dovrebbe assolverlo dai suoi peccati non capisce cosa dice?).

Offrono una palestra per la ri/costruzione della democrazia anche a noi che crediamo di non averne bisogno. E lo fanno senza chiedere in cosa credi, così che perfino un senzafede come me può sentirsi a suo agio in mezzo ai tanti, giovani e non, a cui nessuno chiede di che “parrocchia” sono. Perché la missione è aiutarli a prendere il volo.

La domanda è: che fa lo Stato?

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