Giancarlo Giorgetti, audito sulla manovra davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, apre a modifiche su alcune tra le norme più discusse (anche all’interno della maggioranza) tra quelle inserite nel ddl di Bilancio: il blocco parziale del turnover nel pubblico impiego, la supertassa sulle plusvalenze da criptovalute e l’ingresso di “controllori di Stato” nei collegi sindacali di tutte le aziende che ricevono oltre 100mila euro di aiuti pubblici. Sollecitato sul primo fronte da Maria Cecilia Guerra (Pd) e sugli altri due da Luigi Marattin, il ministro dell’Economia ha detto di essere disponibile a valutare proposte alternative. Nessun passo indietro in vista, invece, sull’allargamento della web tax alle piccole imprese – inviso a Forza Italia – e per quanto riguarda il taglio del fondo per l’automotive contestato da sindacati e aziende della componentistica: il titolare del Tesoro ha detto che non verranno “tolti fondi alle imprese che vogliono riconvertire” ma solo quelli “per le rottamazioni e per gli incentivi all’acquisto di auto elettriche prodotte in Cina e in altri Paesi. Quei 700 milioni non li trovate più“.
Guerra, responsabile Lavoro nella segreteria dem, fa notare che lo stesso Giorgetti da ministro dello Sviluppo economico del governo Draghi “aveva utilizzato il fondo automotive, creato da quel governo, per finanziare 525 milioni per i Contratti di sviluppo e 225 milioni per gli Accordi per l’Innovazione” e aveva detto: “Con questi interventi si va nella direzione auspicata di dotare il nostro Paese di una valida strategia di politica industriale a sostegno della trasformazione tecnologica ed ecologica della catena produttiva dell’automotive”. Col taglio del fondo automotive “non ci saranno certo più sostegni alla domanda di automobili elettriche prodotte in Cina, che nessuno era obbligato a finanziare, ma, soprattutto, non ci sarà sostegno all’innovazione tecnologica e a difesa dell’occupazione in un settore strategico”. I parlamentari M5s delle commissioni Attività Produttive di Camera e Senato aggiungono che 2bisogna prepararsi a un triste festival di delocalizzazioni e a una deflagrazione del ricorso alla cassa integrazione. Del resto, eccezion fatta per l’industria legata al comparto militare, la terza legge di Bilancio di Giorgetti si contraddistingue per il vuoto cosmico in tema di politiche industriali e nuovi investimenti”.
Il finanziamento alla sanità – Quanto alla principale priorità per i cittadini italiani, il finanziamento del servizio sanitario nazionale, Giorgetti si è limitato a rivendicare che “il finanziamento assumerà un andamento all’incirca pari a quello dell’inflazione” e gli stanziamenti “aumentano se consideriamo il pil pro capite sia in termini nominali che reali”. Poi ha anticipato che “sulla politica sanitaria occorre riflettere il mondo in cui viviamo cambiando il modo di approccio ad esempio nella gestione del personale. Ci sono delle specializzazioni che non hanno mercato nel privato e che non possono essere retribuite nello stesso modo di altri”. Non è chiaro cosa intendesse dire, ma subito dopo ha aggiunto: “Siccome io non ho paura di dire cose che poi mi vengono contestate, il pubblico impiego non è tutto uguale. Un infermiere non può fare lo smart working perché deve andare tutti i giorni in ospedale e la sua retribuzione non può essere paragonata a quella di uno che lo smart working lo può fare”.
Il tetto al turnover – La manovra come è noto prevede per gli enti locali un tetto alle assunzioni a tempo indeterminato: le uscite dovranno fermarsi al 75% della spesa relativa al personale cessato dal servizio l’anno precedente. “Premesso che su alcuni settori il blocco è giustificato, in altri può esserlo meno”, ha ammesso il ministro leghista, spiegando che “c’è disponibilità a valutare” in quali settori sia meno necessario. Ad esempio, può essere confermato nei settori dove magari “l’evoluzione tecnologica, l’innovazione, l’intelligenza artificiale, può permettere di ridurre i fabbisogni”, mentre “non si giustifica” in altri settori “come la sicurezza“.
La tassazione sulle plusvalenze da cripto – Capitolo criptovalute. Rispondendo a Marattin che aveva sottolineato come, se l’obiettivo è colpire la speculazione, sia preferibile tassare di più gli investimenti di breve periodo indipendentemente dallo strumento, Giorgetti si è detto “d’accordo e disponibile a valutare forme di tassazione diverse rispetto alla permanenza in portafoglio degli investimenti“. “Va agevolato”, ha detto, il fatto di “tenere nel lungo termine una forma di risparmio e investimento. Se ci sono emendamenti in questa direzione sono disposto a valutarli”.
I revisori del Mef nelle aziende finanziate dallo Stato – Anche sui revisori nominati dal Mef nei collegi sindacali il titolare del Tesoro si è detto “apertissimo a qualsiasi proposta” a patto che resti salvo il principio per cui “chi riceve un contributo dallo Stato deve rispondere di come lo utilizza”. Il Mef “non vuole curiosare da nessuna parte, può usare anche la Guardia di Finanza che forse fa più paura di un revisore”, ha aggiunto. “Il principio che credo nessuno qui possa mettere in dubbio è che riceve un contributo dello Stato debba avere un comportamento parsimonioso. Accetto però proposte per raggiungere quel risultato”.
Resta la web tax allargata – La legge di Bilancio per il 2025 prevede anche un allargamento della web tax sui ricavi da pubblicità online alle piccole e medie imprese, che colpirà anche i giornali online che realizzano ricavi dalla pubblicità online. Forza Italia non ne vuole sapere e ha chiesto modifiche, ma secondo Giorgetti va tutto bene. “Eliminare soglie attualmente previste in termini di fatturato globale e locale elimina la caratteristica di ‘discriminazione’ alla base della contestazione degli Usa che avevano originato ritorsioni commerciali al momento dell’introduzione”, ha spiegato. “Abbiamo fatto una cosa che credo imiteranno anche altri. L’attuale formulazione è quella proposta dall’Ocse anni fa. Io credo che la tassazione del digitale debba avvenire a livello europeo e questa è la proposta che fa l’Italia. Se si va al contenzioso con gli Usa si arriva poi alle ritorsioni commerciali, una questione che non è chiusa ma solo sospesa in attesa di decisioni sul Pillar 1 (il “primo pilastro” della riforma della tassazione delle multinazionali, ndr): quello che prevede la redistribuzione del “diritto a tassare” una parte di utili tra tutti i Paesi in cui un gruppo è attivo. E su cui non si riuscirà ad arrivare a una decisione entro fine anno perché gli Stati Uniti e altri Paesi non vogliono sottoscrivere”. Non una parola sui dazi all’import che il nuovo presidente Usa Donald Trump ha intenzione di introdurre in ogni caso. E che secondo Prometeia potrebbero costare all’Italia tra 4 e 7 miliardi di euro.