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Kamala Harris perde come Hillary Clinton: il compromesso non paga mai

Donald Trump torna alla Casa Bianca come 47° presidente degli Stati Uniti, nella smorfia napoletana 47 è “o muort” e qui il “morto” però è il Partito democratico, che non è riuscito a fermare Trump né a parlare davvero al Paese. Latinos, neri, persone con bassa scolarizzazione, emarginati in generale in ogni parte del Paese hanno preferito lui a Kamala Harris. Uno che almeno quando parla lo capiscono, uno che sulla guerra in Ucraina ha una posizione chiara (arrendersi e darla vinta a Putin) e su Israele anche (annientare i palestinesi in breve tempo però e allearsi con gli arabi “buoni” quelli del Golfo).

Non sono mai stato convinto dei candidati di compromesso: la politica ha bisogno di persone capaci di parlare al cuore dell’elettorato e di coinvolgere chi, oggi, si sente abbandonato. E Kamala Harris è stato il compromesso. L’anello debole, che non ha mai preso un voto alle primarie, ripescata da Biden per affiancarla alla vicepresidenza (anonima), non è passata attraverso la convention, come hanno potuto pensare che ce l’avrebbe fatta?

L’opposizione democratica ora deve ritrovare l’audacia di costruire una narrazione emotiva e autentica, capace di accendere l’entusiasmo. Credo ancora che Bernie Sanders fosse il miglior candidato per il 2016 e il 2020, e sono convinto che avrebbe fatto meglio di Harris anche in questa tornata. Invece si è preferito il compromesso. Il compromesso non paga mai. Era stata una leader di compromesso anche Hillary Clinton e finì allo stesso modo.

Un ritorno ai fondamentali, tornare ai “frame” di cui parlava George Lakoff, è ormai essenziale. È tempo di costruire una narrazione chiara che riporti l’attenzione sulle esigenze della classe lavoratrice e sulle vere radici della democrazia. La destra è ancora più brava in tutto il mondo, anche in Italia, a costruire cornici di senso, anche su cose il senso non ce l’ha (guardate la vicenda in Italia dei Cpr in Albania, o lo scontro magistratura e maggioranza di governo, dove nella loro narrazione sono i giudici “gli invasori” di campo).

Per il futuro del Partito democratico Usa ci sono poche speranze: o che Trump faccia disastri (ma nella scorsa presidenza si passò quasi indenni, tranne una probabile crisi con la Corea del Sud sfiorata e una quasi seconda guerra civile). E poi c’è lei, una giovane deputata dem che si chiama Alexandra Ocasio Cortez, ma io non conto, non voto in Usa come Rampini e resto un sognatore