“In cosa ci assomigliamo io e mio padre? Penso di soffrire ogni tanto di malinconia, come lui. E come lui, i cambiamenti non mi piacciono. Ma penso anche di essere una persona buona. Ho imparato tanto dal suo esempio”. Nicola Riva, figlio del leggendario Gigi Riva scomparso lo scorso 22 gennaio, ha rilasciato una lunga intervista al Corriere della Sera in cui ha parlato del rapporto con suo padre tra aneddoti e curiosità.

“Il mio primo ricordo di lui è nella sua casa al mare, dove si trasferiva d’estate nel mese di pausa da dirigente del Cagliari. Sul retro, aveva fatto costruire un campo di calcetto piccolino con l’erba sintetica e ci giocavamo insieme, anche con mio fratello Mauro. Lì, era solo nostro padre“, ha svelato Nicola. “Ho un po’ sofferto il fatto che fosse considerato come ‘l’uomo di tutti’, poi non viveva con noi, voleva i suoi spazi. Però quando il mercoledì si giocavano le coppe, veniva a guardarle a casa ed erano sempre momenti speciali. Oppure era bello trovarlo fuori dalla scuola, ci aspettava in macchina”.

A proposito della sua pesante eredità: “Quando giocavo a calcio il confronto era inevitabile. Papà non veniva a vedere me e mio fratello per non crearci ansia, ma mi è mancato avere i suoi consigli. Sia io che Mauro ci siamo creati la nostra vita lontano dal calcio. Papà ci diceva che era orgoglioso di noi, e non era uno da facili complimenti”.

Su quale sia il gol più bello messo a segno da Gigi Riva, il figlio Nicola non ha dubbi: “Di sicuro la rovesciata di Vicenza. Ma la partita più bella di tutte, per me, è stata Juventus-Cagliari del 1970. Papà sentiva sulle spalle il peso di tutta l’isola”.

“Quell’anno con i rossoblù vinse lo scudetto, ma non bastava. Aveva scelto di restare, rifiutando i soldi della Juve, dell’Inter e del Milan. Aveva dimostrato di amare la Sardegna quanto la Sardegna amava lui. Non sarebbe mai potuto andare via perché non avrebbe potuto abbandonare quella famiglia che aveva trovato in mezzo ai sardi. Anche durante la camera ardente vedere persone di ogni età in coda fino alle undici di sera, sfidando il freddo, arrivando da lontano, sconosciuti che piangevano davanti alla bara, disabili, anziani, non vedenti che pure volevano rendergli omaggio, mi ha fatto capire quanto fosse importante. Fu un momento incredibile. Una persona mi disse che suo padre non usciva di casa da quattro anni, ma voleva assolutamente dire addio a Gigi Riva”.

Riguardo alla scelta di ritirarsi a vita privata nel 2017 senza uscire di casa: “Lì è tornato a essere Luigi e basta, come lo hanno sempre chiamato in famiglia. Ogni sabato sera ci ritroviamo ancora qui a casa sua, con mamma, mio fratello, le cinque nipoti, come se ci fosse ancora. E in effetti c’è. Vivere la sua depressione è stato difficile, ma abbiamo cercato sempre di stargli vicino anche con il silenzio. Non servivano parole, ma solo che sapesse che c’eravamo”. Sulle possibili cause del suo malessere ha ipotizzato: “Mi sono interrogato e ho fatto le mie ricerche. Credo che tutto sia legato alla sua infanzia. Papà ha realizzato il suo sogno di giocare a calcio. Ma aveva perso il padre a 8 anni, una sorellina a 11, la madre a 16, senza riuscire a condividere il benessere economico che aveva raggiunto. Nonna Edis è stata il suo grande amore e il suo grande rimpianto“.

Parlando di calcio ha svelato: “Le partite del Cagliari e della Nazionale non riusciva più a guardarle, troppa ansia. Guardavamo qualsiasi cosa meno che il calcio. Non gli piaceva quello di oggi, non si riconosceva e detestava il Var“.

Infine, il suo pensiero in merito alla realizzazione di una possibile statua in suo onore: “Tantissimi comuni si stanno organizzando per rendergli omaggio con un murales, una piazza, una via o altro. Ben venga la statua, come qualsiasi altra iniziativa popolare, non legata alla politica”.

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