In un anno sette italiani su dieci si rivolgono almeno tre volte a un Pronto soccorso. E per tutti inizia il calvario dell’attesa. Ma è soprattutto nelle aree boarding – quelle dove vengono collocati su barelle i pazienti che necessitano del ricovero – che i tempi d’attesa sono fuorilegge in ben un caso su due. Il 49% aspetta ben più delle otto ore massime stabilite dalle direttive del ministero della Salute. Spesso senza nemmeno il vitto, senza ricevere l’assistenza adeguata. È qui, in queste aree diventate ormai la cartina di tornasole della profonda crisi nella quale è precipitato il Ssn (drammaticamente a corto di personale e di risorse finanziarie) che il sistema va completamente in tilt, come rileva una indagine nazionale svolta da Simeu, società scientifica di medicina di emergenza e urgenza, nell’ambito del progetto “Aver cura”.
Indagine che ha riguardato tutte le regioni, coinvolgendo professionisti sanitari e pazienti (di questi ultimi ne ha raggiunti 15 mila, attraverso questionari). E che mostra anche il crollo verticale della fiducia da parte degli operatori della sanità nei confronti delle istituzioni, dal governo alle Regioni: per tanti non rappresentano più un punto di riferimento. Basti dire che ben il 64% dei medici e degli infermieri è stato vittima di aggressioni nell’ultimo anno ma solo la metà ha sporto denuncia alla direzione sanitaria dell’ospedale o alle forze dell’ordine.
Quanto ai pazienti, solo quelli in gravi condizioni – come quelle indicate dal codice rosso, che determina l’accesso immediato alle cure per un elevato rischio clinico – dicono di aver ricevuto terapie adeguate e comunicazioni chiare ed esaustive. “Questo significa che le risposte alla vera emergenza grazie allo sforzo di medici e infermieri continuano ad essere eccellenti nonostante il contesto”, dice Daniele Pierluigi, del consiglio nazionale di Simeu. Al contrario, man mano che diminuisce la gravità del quadro clinico aumentano il malessere e la rabbia dei cittadini: il 42% lamenta disagi organizzativi e strutturali. L’indagine è stata realizzata in occasione dell’ottava edizione dell’Accademia dei direttori di medicina d’emergenza urgenza.
Ed è allarmante anche il dato che conferma la scarsa conoscenza da parte degli italiani delle norme e delle regole che riguardano il sistema sanitario. Per esempio: il 41% non ha ancora compreso a cosa serve il triage, vale a dire una delle molteplici competenze degli infermieri che lavorano nei Pronto soccorso, ai quali è demandato il compito di fare una rapida valutazione delle condizioni dei pazienti, rilasciando il codice corrispondente al grado di gravità. Così come non conosce il sistema di accettazione basato sui codici da uno a cinque, con il codice 1 (rosso) che indica l’interruzione o la compromissione di una funzione vitale, e il codice 5 (bianco) che indica l’assenza di urgenza e che comporta per il paziente il pagamento di un ticket.
Ma le lunghe liste d’attesa per ottenere un accertamento diagnostico o una visita specialistica riempiono i Pronto soccorso (diventato per tanti l’unica alternativa), mentre il personale – stremato – non riesce a dare risposte. E questo contribuisce a spiegare l’alto numero di aggressioni ai danni di medici e infermieri da parte dei pazienti o dei loro parenti: il 76% degli operatori ha subito anche aggressioni verbali, come minacce e intimidazioni. “Si è molto dibattuto sul significato di appropriatezza degli accessi – osserva Pierluigi –. Ma il fatto reale è che maggiori presenze richiedono maggiori sforzi di assistenza clinica e alberghiera e i grandi numeri rallentano la struttura organizzativa, aggravandola”.