Aiuto! Aiuti! Un grido si leva dalle case automobilistiche di mezza Europa, alle prese con un calo di ricavi e profitti. La crisi c’è ed è pesante. I prezzi delle macchine sono alti, la domanda cala e, soprattutto, la Cina avanza. Costruisce macchine tecnologicamente più avanzate ma che costano meno. Nell’elettrico è ormai un dominio, in un decennio le case europee sono passate dall’essere l’avanguardia globale delle quattro ruote ad inseguire, nel tentativo di recuperare un ritardo ormai forse incolmabile. Così ai governi si chiedono sussidi, incentivi e agevolazioni per accelerare sulla transizione verde e rincorrere i cinesi.

Eppure…non che non si sapesse che la Cina stava avanzando veloce. E le tempistiche per il passaggio all’elettrico e l’abbattimento delle emisisoni erano note da tempo. Sono stati fatti parecchi errori di calcolo, ci si è seduti sugli allori e si è anche un po’ “scialacquato”. Ora si invoca il sostegno degli stati, ossia dei soldi dei contribuenti. Altrimenti, solito intramontabile ricatto, saranno chiusure, licenziamenti e/o delocalizzazioni. In Italia, la recente cancellazione dei miliardi destinati al settore (che qui significa quasi solo Stellantis e tutto ciò che le gira attorno) ha suscitato reazioni allarmate. Comprensibili da parte dei sindacati, un po’ meno dai produttori.

Davvero le case automobilistiche hanno ora così bisogno del nostro denaro? I problemi attuali sono innegabili ma bisognerebbe ricordare che il settore viene da tre anni di vacche non grasse ma obese. Prendiamo Stellantis e Volkswagen, ma il discorso vale quasi per tutti. Tra il 2021 e il 2023, il gruppo franco-italiano, ha incamerato profitti per quasi 50 miliardi di euro. Oltre 13 miliardi nel 2021, quasi 17 miliardi nel 2022 e 18,6 miliardi nel 2023. Per la casa tedesca numeri simili. L’utile del triennio è di una cinquantina di miliardi (15 nel 2021, 16 nel 2022, 18 nel 2023).

La concorrente tedesca Mercedes si è dovuta accontentare di guadagni per 45 miliardi di euro, 14,5 miliardi solo nel 2023. Bmw ha archiviato il triennio con profitti per 42 miliardi. Ha guadagnato un po’ meno Renault, che proveniva però da una fase complessa ed è comunque riuscita a rimettersi in sesto. Alla fine dei tre anni poteva vantare utili per 5 miliardi di euro. Niente di eccezionale se paragonato ai concorrenti, ma comunque un guadagno di non poco conto.

Sono stati certamente anni particolari. Caratterizzati dal Covid e da altri fattori di incertezza. Il rallentamento della produzione, con un’offerta in ritardo sulla domanda, ha consentito ai costruttori di fare meglio quello che stavano già facendo: vendere meno auto ma a prezzi più alti. Meno costi e più guadagno. Ma che la cuccagna non sarebbe durata non era certo impossibile da prevedere. E, in effetti, in una certa misura, di fieno in cascina le case automobilistiche ne hanno messo.

La liquidità di cui dispongono oggi i big delle quattroruote è senza precedenti. Le loro riserve sono passate da 108 a 163 miliardi tra il 2018 e il 2023. A distinguersi sono proprio Stellantis e Volkswagen, oltre a Bmw che hanno rispettivamente “in cassa” 48, 29 e 20 miliardi. Pure Mercedes riporta a bilancio una liquidità di oltre 30 miliardi. Un’altra bella fetta dei profitti è finita agli azionisti sotto forma di dividendi e programmi di riacquisto di azioni proprie. Soci che erano già stati gratificati dal rialzo del valore dei titoli, legato ai buoni risultati. Dal gennaio 2021 al marzo 2024 le quotazioni di Stellantis erano, ad esempio, raddoppiate.

Nel 2023 Stellantis ha distribuito 6,6 miliardi agli azionisti in varia forma. Nel 2022 erano stati 4,3 miliardi. Anche nel 2024 il gruppo ha ricomprato azioni per 3 miliardi di euro (un modo per spingere le quotazioni dei titoli). Negli ultimi 4 anni i soci hanno ricevuto ben 23 miliardi, la fetta più grossa è andata ad Exor, la finanziaria olandese degli Agnelli-Elkann, primo azionista della società con il 15%. Anche Volkswagen non ha lesinato gratificazioni. Nel 2023, ad esempio, ha distribuito quasi 10 miliardi di euro e quest’anno altri 5.

Tenere troppi soldi in cassa non è una grande strategia finanziaria, si suppone che un’impresa competitiva abbia migliori modi per impiegare il denaro e farlo fruttare. Così come distribuire dividendi è scelta, entro certi limiti, opportuna e che permette di attrarre investitori. Tuttavia, diventa tutto davvero un po’ troppo facile se poi, quando si affrontano fasi difficili, non si mette mano al portafoglio ma si chiede, prima di tutto, l’aiuto “da casa”, citofonando a palazzo Chigi, alla cancelleria di Berlino o all’Eliseo. Per gli stati è arduo rifiutare, soprattutto quando ci si strappano a vicenda fabbriche e impianti a suon di sussidi ed agevolazioni. Ma, in fondo, altro non è se non la cara privatizzazione dei profitti con la collettivizzazione delle perdite, immutabile tratto distintivo dell’epoca neoliberista.

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