Cinema

Fate largo all’incanto di Flow – Film ipnotizzante di bellezza disarmante con una tensione avventurosa alla Spielberg

di Davide Turrini

Che la fratellanza animale sia con voi. Fate largo all’incanto di Flow. Affinché il cinema torni ad essere meraviglia, e osservazione della meraviglia stessa, dobbiamo togliere di mezzo molti fronzoli formali a cui siamo abituati. Intanto Flow del lettone Gints Zilbalodis è un’opera di animazione immaginifica che non ha riferimenti visivi precedenti. In Flow, inoltre, sono assenti uomini e donne perché agiscono solo animali, quindi non sentirete parole o dialoghi ma solo versificazioni. Infine Flow è una storia regolata e narrata secondo un tale inatteso intuito e stupore animale da sfiorare finemente l’onirico.

In una foresta cupa e imponente un micio grigio dagli occhioni gialli si specchia in una pozza d’acqua. Flow – presentato all’ultimo festival di Cannes – inizia così, con un interrogativo interiore, un tentativo di comprensione di sé e di una situazione generale di difficile codifica felina. In pochi istanti il fogliame è smosso via via dalla rapidissima corsa di un leprotto, dietro di lui segue una muta imbufalita di cani e poi una massa di cervi che scappa da qualcosa che subito si scopre essere un’onda d’acqua. Il povero micio viene travolto, si rialza, e mentre l’acqua lentamente invade prati e terra, si rifugia sul letto di quella che pare essere una casa conosciuta, ma improvvisamente disabitata. L’acqua continua a salire e l’unica via di scampo è quella di saltare sopra una barca di legno a vela dove si trova nascosta una nutria. Di fronte all’ulteriore rapido innalzamento delle acque quella barca diventerà un’arca di Noè per raccogliere prima un lemure e le sue assurde cianfrusaglie umane, un labrador, un enorme uccello alla Myazaki, infine il rimanente gruppetto di scalcagnati cagnetti.

Il manipolo bestiale verrà trascinato tra tempeste, città incantate e svuotate, arbusti e rocce, fino ad una sorta di nuova era in cui l’acqua tornerà a calare e dove qualche buon’anima animale non riuscirà a sopravvivere. In un ambiente mozzafiato modulato in 3D, Zilbalodis inserisce i suoi personaggi animali, ne segue azioni e gesti, ne accompagna lo sguardo in una sorta di agile osservazione basata su lunghe sequenze in cui viene esplorato lo spazio circostante. E qui lasciateci aprire una parentesi su come questo regista sviluppi una sorta di accumulo performativo nella messa in scena in cui si sovrappongono lo spessore fotografico, il tratteggio scenografico e il senso ritmico di un montaggio quasi invisibile.

Del resto in Flow le insidie ambientali sono primordiali e non spiegate, così come le naturali sopraffazioni tra bestie ne ricalcano l’atavica istintività. Insomma, inesorabile prosegue il lavoro di madre natura mentre quell’arca e i suoi impossibili equilibri tra specie provano a infondere una fiammella di speranza nel senso collettivo di sopravvivenza. Ne esce un film esteticamente ipnotizzante, dalla bellezza disarmante, perfino da una tensione avventurosa spielberghiana. Lo sguardo di Zilbalodis è armonioso e allo stesso tempo inquieto, perfino spigoloso nelle svolte narrative, mai sovraccarico di carinerie disneyane nelle sublimi caratterizzazioni animali, imprevedibile per alcune scelte magico-fantastiche (il sogno del gatto, le statue animali). Un unico appunto: si vede che il regista e il team di scrittura sono dei gattari e la rappresentazione canina è un po’ da citrulli. Coproduzione franco-belga-lettone. Distribuisce Teodora.

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