Che la fratellanza animale sia con voi. Fate largo all’incanto di Flow. Affinché il cinema torni ad essere meraviglia, e osservazione della meraviglia stessa, dobbiamo togliere di mezzo molti fronzoli formali a cui siamo abituati. Intanto Flow del lettone Gints Zilbalodis è un’opera di animazione immaginifica che non ha riferimenti visivi precedenti. In Flow, inoltre, sono assenti uomini e donne perché agiscono solo animali, quindi non sentirete parole o dialoghi ma solo versificazioni. Infine Flow è una storia regolata e narrata secondo un tale inatteso intuito e stupore animale da sfiorare finemente l’onirico.
In una foresta cupa e imponente un micio grigio dagli occhioni gialli si specchia in una pozza d’acqua. Flow – presentato all’ultimo festival di Cannes – inizia così, con un interrogativo interiore, un tentativo di comprensione di sé e di una situazione generale di difficile codifica felina. In pochi istanti il fogliame è smosso via via dalla rapidissima corsa di un leprotto, dietro di lui segue una muta imbufalita di cani e poi una massa di cervi che scappa da qualcosa che subito si scopre essere un’onda d’acqua. Il povero micio viene travolto, si rialza, e mentre l’acqua lentamente invade prati e terra, si rifugia sul letto di quella che pare essere una casa conosciuta, ma improvvisamente disabitata. L’acqua continua a salire e l’unica via di scampo è quella di saltare sopra una barca di legno a vela dove si trova nascosta una nutria. Di fronte all’ulteriore rapido innalzamento delle acque quella barca diventerà un’arca di Noè per raccogliere prima un lemure e le sue assurde cianfrusaglie umane, un labrador, un enorme uccello alla Myazaki, infine il rimanente gruppetto di scalcagnati cagnetti.
Il manipolo bestiale verrà trascinato tra tempeste, città incantate e svuotate, arbusti e rocce, fino ad una sorta di nuova era in cui l’acqua tornerà a calare e dove qualche buon’anima animale non riuscirà a sopravvivere. In un ambiente mozzafiato modulato in 3D, Zilbalodis inserisce i suoi personaggi animali, ne segue azioni e gesti, ne accompagna lo sguardo in una sorta di agile osservazione basata su lunghe sequenze in cui viene esplorato lo spazio circostante. E qui lasciateci aprire una parentesi su come questo regista sviluppi una sorta di accumulo performativo nella messa in scena in cui si sovrappongono lo spessore fotografico, il tratteggio scenografico e il senso ritmico di un montaggio quasi invisibile.
Del resto in Flow le insidie ambientali sono primordiali e non spiegate, così come le naturali sopraffazioni tra bestie ne ricalcano l’atavica istintività. Insomma, inesorabile prosegue il lavoro di madre natura mentre quell’arca e i suoi impossibili equilibri tra specie provano a infondere una fiammella di speranza nel senso collettivo di sopravvivenza. Ne esce un film esteticamente ipnotizzante, dalla bellezza disarmante, perfino da una tensione avventurosa spielberghiana. Lo sguardo di Zilbalodis è armonioso e allo stesso tempo inquieto, perfino spigoloso nelle svolte narrative, mai sovraccarico di carinerie disneyane nelle sublimi caratterizzazioni animali, imprevedibile per alcune scelte magico-fantastiche (il sogno del gatto, le statue animali). Un unico appunto: si vede che il regista e il team di scrittura sono dei gattari e la rappresentazione canina è un po’ da citrulli. Coproduzione franco-belga-lettone. Distribuisce Teodora.