La mattina del 6 novembre, l’Europa si è svegliata con la paura che il grande ombrello americano diventi presto più piccolo. Un’opportunità per portare avanti la tanto auspicata autonomia strategica, almeno sulla carta sulla carta, ma di fatto un timore che pietrifica le cancellerie Ue dato il contesto economico e geopolitico. L’amministrazione Trump entrerà in carica solo nel 2025, la sua squadra è ancora da formare, ma se si guarda ai suoi primi quattro anni da presidente c’è da aspettarsi un nuovo disimpegno dai fronti caldi del mondo, escluso solo l’Indo-Pacifico, e una nuova svolta protezionistica. Così, orfana del suo grande alleato, l’Ue dovrà diventare grande alla svelta se non vuole rimanere intrappolata nella lotta di potere globale tra gli Usa e le grandi potenze emergenti, Cina in testa. Ma questa crescita le viene richiesta in un momento di grande debolezza, con i suoi due Paesi più importanti in gravi difficoltà politiche interne, una situazione economica in generale sfavorevole, forti divisioni interne e un settore, quello della Difesa, ancora a totale appannaggio dei singoli Stati membri.
Macron rilancia l’autonomia strategica…
Non è un caso, quindi, se uno dei leader più importanti, ma allo stesso tempo più deboli, d’Europa cerchi di suonare la carica. Dopo essersi sentito con il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, il presidente francese Emmanuel Macron ha parlato dalla riunione della Comunità politica europea di Budapest e ha commentato così l’elezione di Trump: “Dobbiamo essere preparati. Dobbiamo scrivere noi la storia, abbiamo sistemi di difesa sofisticati, abbiamo sistemi tecnologici. Se decidiamo di essere consapevoli di quello che siamo, noi siamo una potenza enorme, nessun mercato è unito dai nostri valori come il nostro. Se ci svegliamo, difendiamo i nostri interessi, gli interessi europei”. Il messaggio è chiaro: Stati Uniti, Cina, Russia e Brics inseguono tutti i propri interessi e un gruppo di Stati come l’Ue non può permettersi di rimanere indietro, sia in campo economico che militare. “Abbiamo due blocchi, gli Usa e la Cina, che inseguono i propri interessi. Il nostro ruolo non è commentare le elezioni americane, Trump è stato eletto dal popolo americano e difenderà gli interessi del popolo americano. È legittimo che lo faccia. L’unica questione è che noi dobbiamo pensare agli interessi del popolo europeo. Siamo in un momento storico che è decisivo per gli europei. Vogliamo leggere una storia scritta da altri, da Putin, dalle elezioni americane, dalle scelte cinesi, o vogliamo scriverla noi la storia? E penso che si possa scrivere la storia. Il mondo è fatto di carnivori ed erbivori, se decidiamo di restare erbivori i carnivori ci mangeranno. Dobbiamo almeno essere onnivori”.
… ma l’Europa è debole e disunita
Il problema, però, è che di ‘europeo’ il popolo dei 27 Stati membri ha ancora troppo poco. L’Unione fatica sempre più a trovare unità anche sui temi che coinvolgono tutti i Paesi e l’asse franco-tedesco, storicamente faro per gli altri membri nelle politiche da intraprendere è debole come mai prima d’ora. In Germania il governo è ormai arrivato al capolinea: la coalizione tra Socialisti, Liberali e Verdi si sta sgretolando sulla manovra ed è sempre più concreta l’ipotesi di elezioni anticipate in primavera. Questo non significa che il Paese si rimetterà in piedi rapidamente, anche con un governo di marca Cdu. Sull’altra sponda del Reno le cose vanno leggermente meglio, ma Macron, nonostante sia riuscito a formare un esecutivo, seppur di minoranza, guidato dal Repubblicano Michel Barnier, rimane un presidente debole.
Se a questa situazione si aggiunge la frammentazione interna all’Ue, dove i partiti sovranisti hanno preso campo sia in Parlamento che in Consiglio, con prospettive di crescita concrete, appare evidente come le capacità di coordinamento a Bruxelles rimangano limitate. Questo nonostante Ursula von der Leyen abbia strutturato la nuova Commissione in maniera tale da accentrare su se stessa il potere decisionale.
Il timore dei dazi e la Task Force Trump
Così, le conseguenze delle nuove politiche trumpiane possono diventare una trappola per un’Ue incapace di reagire. Uno dei temi che più di tutti preoccupano i Palazzi brussellesi è quello del commercio e dei dazi. Le politiche protezionistiche di Trump si erano già manifestate nel corso del suo primo mandato e avevano generato scontri, minacce e ritorsioni anche con l’Ue. Toni che sono ritornati pure nei giorni scorsi, quelli finali di campagna elettorale: “L’Europa la pagherà cara se non compra prodotti americani”, aveva detto durante uno dei suoi comizi in Pennsylvania. A Bruxelles, giurano le fonti sentite da Politico alla fine di ottobre, questa volta non hanno però intenzione di farsi trovare impreparati come nel 2018. Così, per evitare ritorsioni pesanti sui propri prodotti, stanno già costituendo quella che è stata ribattezzata la Task Force Trump, un gruppo di risposta rapida a eventuali provvedimenti economici e commerciali da parte di Washington. “Un modo – spiegano i funzionari sentiti col privilegio dell’anonimato – per costringere Trump a sedersi subito a un tavolo in caso di passi in avanti pericolosi da parte della sua amministrazione”.
Il dossier ucraino: l’Ue teme di rimanere sola
Il fascicolo che più preoccupa, però, rimane quello della guerra in Ucraina. Su questo punto Trump è stato chiaro: “Non ho intenzione di iniziare guerre, ma di farle finire”, ha detto nel giorno della vittoria dopo che in campagna elettorale aveva più volte detto di essere in grado di “far terminare la guerra in un solo giorno”. Dopo il Financial Times, anche il Wall Street Journal ha pubblicato quelle che sarebbero alcune delle caratteristiche del piano di pace del tycoon per il conflitto russo-ucraino: i suoi consiglieri gli raccomandano di congelare la guerra in atto, fissando l’occupazione da parte di Mosca a circa il 20% dell’Ucraina e costringendo Kiev a sospendere temporaneamente la sua richiesta di adesione alla Nato. Una formula di cui Volodymyr Zelensky ha già fatto capire di non voler nemmeno parlare.
È in questo contesto che la decisione dell’Ue diventa fondamentale. Se, come si prevede da tempo, nel breve o medio termine si dovesse arrivare a uno strappo tra Washington e Kiev, l’Unione dovrà prendere una decisione: accodarsi agli Stati Uniti abbandonando l’Ucraina, tradendo però gli elettori su uno dei punti più importanti del programma della nuova Commissione, o, più probabile, cercare di sostenere da sola la causa ucraina. Un’opzione, la seconda, migliore politicamente ma che da un punto di vista economico potrebbe risultare insostenibile per i 27. Eventualità che, inoltre, non può essere considerata fattibile senza una forte unità d’intenti tra gli Stati membri. Per questo l’Ue deve velocemente cercare di trasformarsi da accozzaglia di Stati nazionali in una vera Unione. Se non sarà in grado di farlo, se non riuscirà a compiere questa maturazione, è destinata a fallire. Perché in quasi tre anni di guerra, questa comunione d’intenti invocata da Macron non si è ancora vista.