“Sette anni pi picciuteddi”, ha gridato una delle madri dei ragazzi condannati per lo stupro di gruppo Palermo. Unica scena di tensione fuori dal tribunale, dopo la lettura della sentenza per gli imputati. Una ventina di parenti, tra cui le madri dei ragazzi, hanno atteso per ore la decisione del collegio giudicante. Un carico emotivo […]
“Sette anni pi picciuteddi”, ha gridato una delle madri dei ragazzi condannati per lo stupro di gruppo Palermo. Unica scena di tensione fuori dal tribunale, dopo la lettura della sentenza per gli imputati. Una ventina di parenti, tra cui le madri dei ragazzi, hanno atteso per ore la decisione del collegio giudicante. Un carico emotivo trattenuto a stento, cercando ancora di difendere i propri ragazzi, provando a spiegarsi coi giornalisti: “Ha rovinato questi ragazzi, guardi qui”, indicano alcuni, mostrando alcune immagini della ragazza. Sono ore in cui si attende di sapere la sorte dei propri familiari. Poco dopo le 15, la campanella avverte che i giudici stanno per rientrare in aula per leggere la sentenza. Un processo che per il grande carico emotivo dei soggetti coinvolti e il grande clamore mediatico suscitato sin dai primi giorni in cui è stata resa nota la denuncia della ragazza nell’agosto del 2023, è stato celebrato a porte chiuse. Così, al suono della campanella, i familiari sono stati accompagnati fuori dal Palazzo di Giustizia, dove dopo la lettura della sentenza, li hanno raggiunti i loro avvocati con l’esito.
“Pene contenute rispetto alla richiesta dei pm, si sono mediamente attestati su una pena di sette anni”, ha spiegato ai familiari uno dei difensori. “Sette anni ai picciuteddi”, ha gridato, a quel punto una mamma che è stata però subito invitata alla calma. Mentre i difensori spiegavano ai familiari perché nonostante tutto la sentenza non era da considerarsi gravosa: un anno è stato già scontato e la pena poteva essere molto più severa. Le proteste fuori dal tribunale sono state, dunque, molto contenute: “Ma i nostri ragazzi sono stati lo stesso condannati ingiustamente, le telecamere del cantiere sono scomparse, quelle immagini avrebbero detto che lei era consenziente”, hanno provato a spiegare alcuni parenti, tra fratelli e padri, ai giornalisti. “Siamo mediamente soddisfatti”, ha provato a spiegare uno dei difensori ai familiari: le pene per i sei ragazzi maggiorenni sono state tutte inferiori a quella del minorenne che è stato condannato anche in appello a 8 anni e 8 mesi.
Le attenuanti generiche per i maggiorenni non sono state riconosciute ma il collegio ha riconosciuto una minore responsabilità per due dei sei imputati. “La quantità degli anni di condanna non è stata mai di mio interesse, lo è senz’altro la condanna e quindi il riconoscimento del reato ai danni della ragazza”, ha detto al termine della lettura, l’avvocata della vittima, Carla Garofalo. “Durante il processo è stato dato spazio, nell’accertamento della verità, a stereotipi di genere. Si è indugiato nei comportamenti di lei, indugiando su stereotipi che come certificato dall’Istat ancora resistono nel nostro contesto culturale in merito a queste vicende”, ha commentato Elvira Rotigliano, avvocata di parte civile per l’associazione nazionale Dire (Donne in rete contro la violenza).
Tante le associazioni costituitesi parti civili per le quali la sentenza ha disposto un risarcimento complessivo di 40 mila euro. “Esprimiamo la nostra vicinanza, forte, alla persona offesa e ringraziamo l’Ufficio di Procura per il meticoloso lavoro svolto. L’affermazione della penale responsabilità degli imputati e l’irrogazione di pene congrue, rispetto alla gravità dei fatti addebitati, impongono a noi tutti e a ciascun segmento della società una riflessione profonda sulle degenerazioni che si manifestano nelle nostre comunità e su come prevenirle. Questo processo è una ulteriore conferma dell’importanza del ruolo delle Associazioni nel contrasto alla violenza contro le donne. Esse costituiscono infatti un baluardo a partire dalle attività di formazione e sensibilizzazione, educazione alla sessualità libera e consapevole, fino alla denuncia e all’accompagnamento in sede processuale delle persone offese al fine di arginare il fenomeno della vittimizzazione secondaria”, hanno commentato le avvocate Felicia D’Amico e Alessandra Inguaggiato per Associazione Insieme a Marianna.
“Vorremmo sottolineare l’importanza della presenza della società civile che ha preso una posizione forte attraverso la presenza e la costituzione delle associazioni. Il riconoscimento risarcitorio alle associazioni è riconoscimento della profonda ferita inferta alla società”, hanno sottolineato in una nota le avvocate Cinzia Manzella, Federica Prestidonato, Elvira Rotigliano, Maddalena Giardina, Alessandra Inguaggiato e Roberta Anselmi.