La “grande rimpatriata” dei boss di Cosa nostra è iniziata. Recentemente, alcuni mafiosi hanno ottenuto permessi premio per buona condotta. E quindi l’ammucchiata sotto il cielo di Palermo, sta iniziando alla grande. Sin qui nulla di anormale, visto che i giudici applicano le leggi vigenti. Tuttavia i giudici dovrebbero almeno chiedere un parere alle procure interessate.

Comunque non basta un “encomio di detenuto modello” per essere premiato. Intanto sento la necessità di dire, che se i giudici o i pseudo esperti di cose di mafia, ritengono che “la rimpatria” non sortirà effetti collaterali, si sbagliano di grosso. Chi è nato e cresciuto in mezzo ai mafiosi, per poi combatterli una volta diventato poliziotto, come il sottoscritto, sa bene che la libertà dei boss in quel di Palermo, sarà prodromo di ricostruzione delle famigghie. Del resto, non stiamo parlando di “scassapagghiari” ma di uomini di Cosa nostra di peso. E quindi è risibile pensare che costoro una volta in libertà si comportino come cittadini modello.

Una volta “punciutu” – rito di affiliazione alla mafia – il mafioso non potrà mai più uscire dall’organizzazione. Lo potrà fare con la morte o col pentimento.

Il dogma che regola l’appartenenza a Cosa nostra è rigido è viene esercitato oralmente da illo tempore dagli adepti. Pertanto, pensare che il mafioso abiura Cosa nostra, in assenza di pentimento, è mera illusione. D’altronde siamo nel Paese del Gattopardo, ove Tomaso di Lampedusa con una citazione, che allo stato appare appropriata, scrisse: “Perché tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi”.

E quindi cosa cambia in Sicilia? Nenti di nenti. La libertà condizionata o permessi premio di boss già condannati all’ergastolo, sono davvero inconcepibile. Sembra che ci sia una proposta di modificare la norma che consente ai giudici di non chiedere il parere alle procure per la concessione di permessi premi. Avanti tutta con brio, liberiamoli tutti affinché possano tornare nelle loro alcove e vivere felici e mafiosi.

Del resto, forse hanno ragione i mafiosi, cos’hanno fatto di male a Palermo? Nulla, atteso che poliziotti, carabinieri, magistrati, uomini inermi, donne e bambini morirono di raffreddore. Le stragi di Chinnici, Capaci, via D’Amelio, Milano Firenze, Roma, sono effetti collaterali del raffreddore. Volgo lo sguardo agli anni 80 quando a Palermo era più facile morire che vivere, per volere di “u curtu” Riina. Se io avessi il potere di far ritornare indietro la lancette dell’orologio, accompagnerei giudici e politici a far veder i luoghi della violenza funesta del “raffreddore”.

Che strano Paese è l’Italia. Si ricordano i morti posando con una mano una corona d’alloro e invece con l’altra, si premiano assassini e stragisti. Io non posso permettermi il lusso di dimenticare i corpi di miei colleghi, carabinieri, Pio La Torre, Chinnici, Dalla Chiesa, brutalmente assassinati. E non dimentico il sangue di mafiosi, che lastricarono le strade di Palermo: oltre un migliaio di morti ammazzati.

Colgo l’occasione per suggerire ad alcuni esperti di mafia, che nei primi anni 80 a Palermo non ci fu affatto la guerra di mafia. Ci furono soltanto omicidi di coloro chiamati “perdenti” che si rifiutarono di sottomettersi ai corleonesi di Riina. No, non ci riesco a dimenticare, la mia mente è sempre connessa a quei nefasti istanti. Come posso dimenticare i sorrisi di Falcone e Borsellino? Ed ora il “liberi tutti”, come se quel che accadde negli anni 80/90 nella “Beirut” siciliana, ovvero Palermo, fosse stato un virus antinfluenzale. Che il fine del carcere è redimere il condannato sembra ovvio, ma per il mafioso è diverso. Il mafioso obtorto collo assume un atteggiamento collaborativo all’interno del carcere e quindi apparire come detenuto modello, che apre la porta della libertà.

Concludo dicendo, che vorrei tanto essere smentito, ma siccome canusciu n’anticchia i mafiosi, Palermo sarà nuovamente organizzata come nel periodo pre-corleonesi. Di sicuro, il capo di Cosa nostra dovrà essere un palermitano. La cronaca ci dirà!

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