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Ti ricordi… Mini Jakobsen, 1,68 centimetri di velocità nel leggendario Rosenborg dei marcantoni

“Eh sì, Mini, perché in una nazionale di marcantoni lui è alto solo 1 metro e 68”. Da leggere con la voce di Bruno Pizzul, che racconta di Jahn Ivar Jacobsen, meglio conosciuto come Mini perché appunto il suo metro e sessantotto e una buona dose di autoironia lo spingono a prendersi quel soprannome e […]

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“Eh sì, Mini, perché in una nazionale di marcantoni lui è alto solo 1 metro e 68”. Da leggere con la voce di Bruno Pizzul, che racconta di Jahn Ivar Jacobsen, meglio conosciuto come Mini perché appunto il suo metro e sessantotto e una buona dose di autoironia lo spingono a prendersi quel soprannome e farlo ufficialmente suo. È un tipo intelligente Mini, e pure abbastanza eccentrico: nascerebbe Jan, e non Jahn, ma che decise di aggiungere una “h” al suo cognome in omaggio a Jahn Teigen, un cantante norvegese scomparso nel 2020, che dalle foto ricorda un po’ Iggy Pop. Per la verità Mini era una vecchia conoscenza della nazionale azzurra: ci aveva giocato contro già tre volte prima di allora, in un caso facendole anche male: a Genova, esattamente 33 anni fa, segnando in una gara di qualificazione a Euro ’92 che finirà 1 a 1 (gol italiano di Rizzitelli), di fatto ponendo fine alle possibilità di qualificazione azzurre.

È bravo Mini, e si vede sin da quando è ragazzino: i compagni magari sono più alti e più forti fisicamente ma lui, un’ala brevilinea, veloce e fantasiosa, bravo nel dribbling e nel cambio di passo, riesce a farsi notare. Prima nel Junkeren, poi nel Grand Bodo e a 18 anni arriva la chiamata tra i professionisti del Bodo Glimt dove riesce a fare cambiare la concezione dell’attaccante nel calcio norvegese. Il Bodo all’epoca militava tra terza e seconda divisione, e Mini segna 64 gol: numeri da attaccante puro, pur senza essere un centravanti di ruolo. Numeri che gli valgono la chiamata del Rosenborg, il top del calcio norvegese. Nella squadra di Nils Eggen trova i vari Bragstad, Knut Eggen, Runar e Orian Berg e soprattutto Strand, Brattbakk e Sorloth. Gli ultimi due sono attaccanti strutturati, entrambi superiori al metro e ottanta, eppure quello che segna di più, aiutando il Rosenborg a vincere i titoli e le coppe nazionali nel 1988 e nel 1990 è proprio lui, Mini Jakobsen.

I gol gli valgono la nazionale e la chiamata degli svizzeri dello Young Boys nel 1990: resta in Svizzera tre anni, con un ottimo impatto segnando 32 gol in campionato, arrivando alle spalle di Alexandrov nella classifica cannonieri, e perdendo il campionato ai playoff con l’Aarau, pur essendo lo Young Boys arrivato primo in classifica generale (solo quinto l’Aarau). Meno positive sono le esperienze in Germania, con il Duisburg e il Belgio con Lierse, ma è il periodo che coincide con le qualificazioni ai mondiali di Usa ’94. La Norvegia non partecipava a un Mondiale dal 1938, e in un girone di ferro con Inghilterra e Olanda, Mini e compagni riescono a qualificarsi: fondamentale il contributo di Jakobsen con un gol importantissimo alla Turchia e diversi assist per i compagni. Dopo l’esperienza negli Stati Uniti con la Nazionale arriva la nuova chiamata del Rosenborg: una squadra più matura, che non solo vince in patria, ma diverte anche in Europa: in Champions i norvegesi si prendono il lusso, ad esempio, di battere il Milan, e Mini iscrive a curriculum anche un gol al Bernabeu contro il Real, dribblando il portiere Ilgner e dando ai suoi il momentaneo pareggio in una gara che finirà comunque 4 a 1 per gli spagnoli.

Gli hanno chiesto anche una sorta di tutorial, in patria, su come segnare al Real. Lui ha risposto “È semplice: fatevi fare un assist perfetto da un compagno, fate uscire il portiere del Real un po’ a caso sulla trequarti, dribblatelo e tirate in porta”. Tra gol e assist, Mini diventerà una leggenda per il Rosenborg: sette campionati vinti, oltre 90 gol segnati, trentacinque presenze in Champions League, quattro coppe di Norvegia. Ancora oggi viene citato come esempio, interpellato ogni volta che il Rosenborg è argomento di dibattito, anche perché dopo il ritiro è diventato egli stesso un opinionista tv, sebbene sia ampia la gamma di attività in cui si è cimentato: il golf, ad esempio, ma anche conferenze motivazionali in cui mette la sua esperienza, e in particolare il suo carattere forte e la sua verve a disposizione degli sportivi, per la serie: non serve essere giganti per essere dei grandi. Da quel gol all’Italia sono passati 33 anni, dalla nascita di Mini, invece 59: soffierà le candeline proprio oggi.