Dopo l’appello di Emmanuel Macron, anche Mario Draghi lancia un avvertimento all’Europa che si è svegliata ancora intorpidita nella nuova era Trump. La nuova presidenza americana impone all’Unione europea di prendere definitivamente in mano l’iniziativa in diversi settori, dal commercio alla Difesa, ma l’incertezza, la debolezza dei Paesi storicamente traino dell’Ue, Francia e Germania, e […]
Dopo l’appello di Emmanuel Macron, anche Mario Draghi lancia un avvertimento all’Europa che si è svegliata ancora intorpidita nella nuova era Trump. La nuova presidenza americana impone all’Unione europea di prendere definitivamente in mano l’iniziativa in diversi settori, dal commercio alla Difesa, ma l’incertezza, la debolezza dei Paesi storicamente traino dell’Ue, Francia e Germania, e le divisioni interne col fronte sovranista guidato da Viktor Orbán sempre più in ascesa rendono l’impresa ancora più ardua. “Ci sono grandi cambiamenti in vista e credo che quello che l’Europa non può più fare è posporre le decisioni. Come avete visto in tutti questi anni, si sono posposte tante decisioni importanti perché aspettavamo il consenso. Il consenso non è venuto, è arrivato solo uno sviluppo più basso, una crescita minore, oggi una stagnazione. Mi auguro che ritroveremo uno spirito unitario”, ha detto l’ex presidente del Consiglio al vertice Ue informale di Budapest. E risponde indirettamente anche alle lamentele del governo italiano, da Giorgetti a Crosetto, fino a Meloni, secondo il quale non è possibile raggiungere la soglia del 2% del Pil in investimenti per la Difesa rispettando il Patto di stabilità: “È possibile. Bisognerà prendere tutta una serie di decisioni. Oggi bisogna decidere cosa fare perché questa è la nuova situazione”.
La disinvoltura mostrata alla vigilia del voto, con diversi leader delle istituzioni e degli Stati membri che sostenevano di voler ugualmente mantenere un rapporto di stretta collaborazione e affiatamento con l’amministrazione americana è evaporata una volta che la vittoria del tycoon è stata ufficializzata. Adesso anche la leadership europea non può più nascondersi: con la vittoria di Trump deve cambiare anche l’approccio dell’Ue ai grandi dossier internazionali. “Non c’è alcun dubbio che la presidenza Trump farà grande differenza nelle relazioni tra gli Stati Uniti e l’Europa – ha continuato Draghi – Non necessariamente tutto in senso negativo, ma certamente noi dovremo prenderne atto”. Ad esempio, “sicuramente darà grande impulso ulteriore al cosiddetto high tech, dove noi siamo già molto indietro, e questo è il settore trainante della produttività. Già ora la differenza della produttività tra gli Stati Uniti e l’Europa è molto ampia, quindi noi dovremo agire”.
La prima sfida da intraprendere per l’Europa sarà quella lanciata dalla probabile nuova svolta protezionistica di The Donald che nei suoi primi quattro anni alla Casa Bianca aveva portato Washington e Bruxelles sull’orlo di una guerra commerciale a causa dei dazi imposti dagli Stati Uniti. Anche nei giorni scorsi, il tycoon ha ribadito che “se l’Europa non comprerà prodotti americani la pagherà cara”: “Trump darà tanto impulso nei settori innovativi e proteggerà molto le industrie tradizionali, quelle dove noi esportiamo di più negli Stati Uniti – ha sottolineato l’ex premier – E quindi dovremo negoziare con l’alleato americano, con uno spirito unitario in maniera tale da proteggere anche i nostri produttori europei“.
Per attuare cambiamenti servono fondi, ma chiedere agli Stati membri un ulteriore sforzo in una situazione economica stagnante è complicato. Per questo, un po’ come pensato per il Covid e ipotizzato da altri anche per il settore della Difesa, Draghi sostiene che sia “necessario per alcuni progetti di comune interesse europeo” la creazione di un debito comune. “Ed è previsto che per questi progetti vi sia finanziamento comune, un esempio sono le interconnessioni nel campo dell’energia“. Il debito comune, ha precisato, “è indispensabile. Ma non è la prima cosa. Quello che il report sulla competitività Ue dice è che ci sono moltissime altre decisioni che si possono prendere senza affrontare immediatamente il problema del finanziamento pubblico comune”.
Ad esempio, scavallando in ambito Nato, l’ex presidente della Banca Centrale Europea ha risposto indirettamente alle lamentele del governo italiano che reputa impossibile raggiungere la soglia del 2% del Pil in investimenti della difesa senza una revisione del Patto di stabilità. Allo stesso vertice, seppur con toni meno netti rispetto a quelli usati dai ministri Crosetto e Giorgetti, anche Giorgia Meloni ha detto di rimanere “convinta che l’Europa e quindi anche l’Italia debbano riuscire a garantire una maggiore indipendenza a loro stessi, anche investendo di più nella Difesa. Chiaramente servono gli strumenti per poterlo fare”. Quegli strumenti, secondo Draghi, ci sono già: “È possibile. Bisognerà prendere tutta una serie di decisioni”, ha concluso.