Ogni elezione americana è stata dominata da un mezzo di comunicazione, offline o online. Chi ha dimostrato di saper padroneggiare quello specifico mezzo ha conquistato l’attenzione e il favore del maggior numero delle persone. Chi si è rivelato al passo coi tempi, in sostanza, ha vinto la campagna elettorale.

Donald Trump è di recente diventato il 47esimo Presidente degli Stati Uniti d’America. Il suo volto è apparso negli ultimi mesi in alcuni dei principali video podcast negli Usa. È stato intervistato ad esempio da Lex Fridman, Theo Von e Joe Rogan – raccogliendo rispettivamente 6, 14 e 46 milioni di visualizzazioni solo su YouTube. Questo è solo il conteggio delle interviste integrali da 2-3 ore l’una. A queste visualizzazioni vanno aggiunte quelle delle clip, che in un’epoca dominata dalla comunicazione video verticale (TikTok, Reels, Shorts) consentono a singoli estratti da 60-90 secondi di raggiungere un numero di persone molto superiore.

Donald Trump si è dimostrato semplicemente in grado di conquistare gli occhi e le orecchie della maggior parte della popolazione americana – e non solo. Si è fatto ospitare in contesti dialogici più o meno informali senza una scaletta preimpostata, confidente di poter affrontare qualunque tema. Ha vinto il pubblico, ha vinto le elezioni.

Questo post non ha l’intento di celebrare i contenuti della campagna elettorale di Trump, bensì la strategia di comunicazione attuata per veicolare i suoi messaggi. Il marketing politico è come il marketing aziendale: c’è un target, c’è un prodotto da vendere (in questo caso un candidato) e ci sono canali adatti per raggiungere il pubblico.

Il video podcast è il mezzo di comunicazione dominante dell’era moderna per diverse ragioni. In primis, contrasta la frenesia dei post mordi-e-fuggi con contenuti long-form. Durano anche ore e consentono alle persone di far respirare la mente immergendosi in discussioni profonde e articolate senza l’ansia dello scrolling frenetico. Inoltre consentono di assorbire nuova conoscenza anche su temi complessi in un formato che non risulti né polveroso come quello accademico né litigioso come quello televisivo. La persona (il consumatore, il cittadino) ha modo di digerire informazioni in un contesto conversazionale mediamente leggero, disteso e spesso informale – più digeribile.

Kamala Harris ha parzialmente rifiutato l’ingresso in questa arena. Per dare una proporzione del fenomeno, il video podcast principale in cui Harris ha accettato di essere intervistata è Call Her Daddy. La sua intervista non ha superato le 800.000 visualizzazioni e il sentiment dei commenti si è rivelato principalmente negativo, contro Harris. Portare all’interno di formati di comunicazione web logiche di natura tradizionale, infatti, non premia. I famosi “talking points” sui social media non pagano. Gli utenti vogliono avere la percezione di fruire un contenuto genuino, unscripted, in cui le domande non sono state preparate in anticipo e il candidato improvvisa risposte in tempo reale.

Alla capillare presenza di Donald Trump sui video podcast si è poi aggiunto il supporto di personalità come Elon Musk che, utilizzando lo stesso mezzo, hanno amplificato il suo messaggio. Anche il founder di Tesla e SpaceX è stato intervistato da Joe Rogan il giorno prima delle elezioni supportando il messaggio di Trump e ottenendo 12 milioni di views.

Non stupisce che Trump abbia dunque vinto le elezioni. La storia americana è stata condita spesso con mezzi di comunicazione dominati da singoli candidati. Si pensi alle “fireside chats” divulgate a mezzo radio da Franklin D. Roosevelt negli anni ’30 o alla confidenza televisiva di John F. Kennedy negli anni ’60 contro Richard Nixon. Avvicinandoci ai giorni nostri, pensiamo ancora a Bill Clinton che iniziò ad abbracciare format televisivi più pop come i talk show negli anni ’90 o ancora Barack Obama che dominò la scena dei social media – con particolare focus su Facebook – attraverso una strategia di marketing digitale che riuscì a mobilitare elettori più giovani e progressisti. Biden ha sfruttato invece nel 2020 la popolarità di piattaforme come TikTok, delegittimando la figura di Trump a mezzo di video brevi e meme, che prima di lui aveva invece usato Twitter per vincere le elezioni del 2016 con un utilizzo spregiudicato di messaggi diretti e controversi che conquistarono il ciclo delle notizie.

Non è detto che nel 2028 il Metaverso rappresenterà la nuova principale arena di comunicazione politica. Una cosa però è certa. Adattarsi alle aspettative e alle tecnologie del pubblico fornirà un vantaggio decisivo ai candidati. Oggi, a dominare, è la comunicazione video, informale e mediata da attori esterni al mondo del giornalismo.

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