di Stefania Rotondo
“I bambini sono senza passato, ed è questo tutto il mistero dell’innocenza magica del loro sorriso”. Eravamo in piena Guerra Fredda quando Milan Kundera parlava dell’importanza della memoria storica, e della dimenticanza culturale perpetrata dagli imperi sui popoli come arma di potere. Successe nel blocco Urss al quale Kundera apparteneva, ma anche in quello Usa, dove molti intellettuali parlarono di una mutazione antropologica dell’occidente sotto la spinta di un libero mercato, che avrebbe nel tempo minato i valori democratici e multiculturali ereditati dal passato.
Per varie ragioni, le guerre in Ucraina e in Israele oggi sono la rappresentazione plastica di un conflitto identitario in seno a un occidente diviso tra l’essere giardino del capitalismo e l’erede di valori storici che non riesce più ad applicare.
Al tempo di Kundera il mondo era tuttavia diviso in due blocchi. O stavi con l’uno o con l’altro. L’economia era bipolare, da una parte liberista, dall’altra statalista, entrambe non si pestavano i piedi. La guerra stessa era diversa. Ogni blocco alimentava le proprie scorte di armi, e la bomba atomica (deterrente) era in mano ai soli due soggetti imperanti. La guerra fu ideologica e psicologica, sebbene alcuni Paesi strategici furono teatro di conflitti indiretti regionali (Asia e Sud America, per fare solo qualche esempio), e fu condotta da leader dotati di spessore da entrambe le parti.
Il mondo del XXI secolo, risultato della dissoluzione dell’Urss che vuole tornare tale e di un impero Usa sempre più schizofrenico e attento a guardarsi l’ombelico, è diventato invece multipolare. Alcuni Paesi posseggono l’atomica e molti si scambiano soldati e armi. Gli analisti geopolitici cominciano ad allertare sul caos che sarà imperante. La guerra a pezzi mina il capitalismo globalizzato, coagulando le merci in ‘colli di bottiglia’, stretti strategici oceanici o terranei, su territori ex Urss o non più controllabili dall’impero americano divenuto troppo esteso, dove sono in atto numerose guerre locali.
Ma le merci, per la natura della globalizzazione stessa, devono essere libere. Questo è stato il senso che si è dato all’economia post dissoluzione dell’Urss, voluta dagli americani, dagli europei, e via via dai cinesi, dagli indiani, e dagli stessi russi di Eltsin, con l’accondiscendenza calcolata del Medioriente. Queste merci rappresentano ‘la sopravvivenza’ delle nazioni e degli imperi. Non solo oggetti, ma soprattutto materie prime. Non entrarne in possesso o venderle, significa: ‘fine’, ‘kaputt’.
La crisi attuale della Germania e a catena di tutta l’Europa, l’inizio di una recessione cinese e si comincia a vociferare anche indiana, potrebbe essere solo l’inizio. Ecco il terzo conflitto mondiale, che devasta economicamente e politicamente il primo mondo (il terremoto 2.2 di Trump ne è la prova, inaugurando un nuovo ‘ismo’ in occidente), e fisicamente e un po’ meno economicamente ‘caoslandia’, abituata alla povertà e che ha un’età media di trenta anni, costretta a emigrare in un occidente demograficamente ‘vecchio’. Per ogni bambino morto oggi in ‘caoslandia’ sotto le bombe anche occidentali, ne nasceranno dieci domani qui da noi, che della cultura occidentale non ne vorranno sapere.
È in atto un ‘genocidio globale’, che sta cannibalizzando i valori culturali di tutte le parti. E allora, dinanzi ai leader del XXI secolo, che hanno smesso di dare soluzioni e speranze, da levante a ponente, ci chiediamo: abbiamo davvero fallito, noi con una memoria storica? Cristiani, musulmani, ebrei? Occidentali e non, questi ultimi diventati nel frattempo capitalisti? Siamo davvero così tanto diversi? Una cosa è certa. Che l’elezione bis di Trump ha fatto piombare l’occidente in piena post-democrazia e lo fa essere sempre meno diverso da ‘caoslandia’.
Forse è arrivato il momento di far parlare i bambini, i giovani, ‘i senza passato’, per un futuro di pace e più sostenibile. Per come sono andate le cose, Kundera gioirebbe.