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Nessuna violazione dei diritti umani nel report della Fifa: così Infantino vuole assegnare il Mondiale 2034 all’Arabia di bin Salman

Due anni fa, Qatar 2022: il mondiale più bello della storia – parola del grande capo del pallone Gianni Infantinoorganizzato sulla pelle dei lavoratori migranti e di tutti i diritti non rispettati dall’emirato. Una lezione che il calcio non ha imparato, o forse non vuole imparare, sedotto dai petrodollari. La Fifa si prepara infatti nelle prossime settimane ad assegnare l’edizione 2034 all’Arabia Saudita. E lo farà anche grazie a un report particolarmente conciliante sul rispetto dei diritti umani nel regno, che– in accordo con la Fifa – è stato redatto prendendo in considerazione solo i diritti riconosciuti in Arabia e non a livello globale. Praticamente come chiedere all’oste com’è il vino.

Inutile nascondersi: i giochi ormai sono fatti e, dopo il Qatar, anche l’Arabia avrà il suo Mondiale di calcio, fortemente voluto da Re Salman, per cui lo sport è uno dei pilastri fondamentali del programma “Vision 2030” che dovrà fare del Regno una potenza a livello globale. L’ufficialità è prevista per l’11 dicembre, quando ci sarà il voto finale: i sauditi da candidati unici non possono perdere, la Fifa ha anche disposto un congresso virtuale e accorpato le votazioni per le due edizioni 2030 (a Spagna e Portogallo) e 2034, così che non ci possano essere distinguo imbarazzanti. Resta solo qualche piccola formalità per salvare le apparenze. Come ad esempio la valutazione indipendente sul Paese ospitante.

Formalmente, il report dovrebbe indagare quali sono le reali condizioni di minoranza e gruppi più deboli per offrire un quadro chiaro ai delegati in vista del voto, a maggior ragione per un Paese complicato come l’Arabia Saudita, dove la parità di genere è ancora molto limitata, l’omosessualità addirittura considerata illegale e la comunità Lgbtq+ non riconosciuta, ci sono torture e repressione del dissenso, per non parlare delle condizioni dei lavoratori, in particolare dei migranti con lo strumento della kafala, il cui impatto sulla costruzione degli stadi si è già visto di recente proprio in Qatar. Ma è chiaro che l’obiettivo reale è solo quello di sdoganare definitivamente la candidatura. Infatti il documento, affidato allo studio AS&H Clifford Chance, offre uno spaccato particolarmente ottimistico dell’Arabia Saudita: un Paese quasi illuminato, che ha già intrapreso la strada delle riforme, e di qui ai prossimi 10 anni anche grazie proprio ai grandi eventi sportivi non potrà che migliorare ulteriormente.

Il trucco c’è ma non si vede. Tra le note metodologiche, si scopre in realtà come è stato compilato il report: la stesura è durata soltanto sei settimane, e in funzione di questo arco temporale si è basata esclusivamente su ricerche documentali da remoto e sul dialogo con le istituzioni saudite (che lo studio ringrazia per la disponibilità, ci mancherebbe), senza coinvolgere i portatori di interessi esterni, come ad esempio le tante ong o attivisti che denunciano le violazioni. Per altro, non sono stati presi in considerazione tutti i diritti umani riconosciuti a livello internazionale, ma soltanto un raggio più ristretto attinente all’organizzazione dei grandi eventi, tra quelli che sono ratificati e concessi nel Regno, selezionati specificatamente dalla Saff (la Federazione calcistica saudita), in accordo con la Fifa, che ha permesso tutto ciò.

Il documento che è stato da poco pubblicato, insomma, di indipendente non ha quasi nulla. E non a caso, come denunciato da Amnesty International e altre associazioni, “la valutazione non contiene alcuna sostanziale analisi delle gravi e diffuse violazioni dei diritti umani denunciate dalle organizzazioni per i diritti umani e dalle Nazioni Unite“. Il più classico esempio di “sportwashing”. Adesso è davvero tutto pronto per l’assegnazione. Poi fra dieci anni faremo finta di indignarci per come sono stati organizzati i Mondiali sauditi.

X: @lVendemiale