A Kamala Harris non è riuscita l’impresa dei democratici del 2022 nelle tradizionali elezioni di Midterm. Allora era preannunciata una schiacciante vittoria dei conservatori e invece i democratici hanno ottenuto un buon successo. Prima del ritiro di Biden i sondaggi erano molto favorevoli a Trump. Con Harris la distanza si è ridotta notevolmente, ma non è bastata la sbiadita novità a convincere milioni di americani.

In effetti Harris nel quadriennio non ha fatto molto, ma meglio una figura modesta e ragionevole che una tragica. Gli americani comunque hanno scelto di cambiare strada ignorando che l’amministrazione Biden ha dovuto affrontare due eventi eccezionali, la sfida del Covid e le due guerre in corso.

In genere le elezioni si vincono negli Usa con i dati economici alla mano. Come è andata l’economia americana con Biden? È stata un totale disastro? I tre principali indicatori da prendere in considerazione sono il tasso di crescita, quello della disoccupazione e infine quello dell’inflazione.

Sotto l’amministrazione Biden la crescita economica è stata robusta, in linea con quella della precedente amministrazione, se escludiamo il 2020. Trump aveva però avuto il sostegno di un forte stimolo fiscale. Gli Usa sono cresciuti con Biden a tassi doppi rispetto all’Europa. Anche la disoccupazione si è mantenuta di conseguenza straordinariamente bassa, attorno al 4%, con un leggero aumento stagionale negli ultimi mesi.

Da questo punto di vista gli americani non si dovrebbero lamentare della Bideneconomics che ha fatto il suo dovere e anche di più, spendendo molti soldi per ammodernare le decrepite infrastrutture della nazione più ricca del mondo e difendendo la spesa sanitaria pubblica.

Sull’inflazione il successo è stato ancora più netto. L’inflazione era molto bassa quando l’amministrazione Biden si è insediata e poi è salita, in conseguenza del conflitto, raggiungendo il 9% a metà 2022. Poi ha cominciato un percorso discendente e Biden lascia a Trump un tasso di inflazione molto basso, attorno al 2%. Secondo i conservatori l’inflazione sarebbe stata causata dalle politiche espansive per contrastare la pandemia. Ma questa teoria è del tutto immaginaria visto che l’inflazione si è registrata anche in Europa ed è stata ovviamente causata dagli sconvolgimenti del commercio internazionale.

Se oggi le uova costano il doppio (3,8 dollari la dozzina contro 1,6 dollari del 2017) non è per l’incapacità di Biden ma per le conseguenze dei nuovi assetti geopolitici e altro, come l’influenza aviaria. Quindi gli americani avrebbero dovuto, al contrario, ringraziare Biden per aver riportato l’inflazione ai livelli normali. Senza tener conto che questo ritorno alla normalità è avvenuto senza alcuna recessione economica, come molti economisti prospettavano, e con salari che sono cresciuti anche di più dell’inflazione.

Quindi, a un’analisi oggettiva l’amministrazione Biden se l’è cavata abbastanza bene in circostanze eccezionali. Ma questo non ha convinto gli elettori che evidentemente erano abbastanza disinformati o ideologicamente orientati. La propaganda politica dei finanziatori di Trump ha avuto la meglio.

Ma quello che sorprende, da un punto di vista economico, è la nuova ricetta che Trump propone per ridurre ulteriormente l’inflazione, riportando il prezzo delle uova al 2017, e risolvere gli altri problemi dell’economia americana ammalata dei due debiti gemelli, deficit commerciale e deficit pubblico.

Nella prima tornata elettorale vincente Trump si è portato con sé Arthur Laffer e gli economisti conservatori della strana teoria, mai confermata ma sempre ripetuta, meno tasse e più crescita. Oggi questi economisti sono scomparsi di scena, forse per la vergogna dato che Trump ha sposato una teoria ancora più strampalata, quelle dei dazi doganali. Nella campagna elettorale ha sempre affermato questo punto centrale della nuova Trumpeconomics: i dazi sulle importazioni salveranno l’economia americana. Vedremo poi se applicherà realmente dei dazi del 20% su tutte le merci importate come ha promesso agli elettori americani.

Un sistema tariffario di questo tipo intanto minerebbe uno dei bastioni ideali del movimento conservatore che è sempre stato per il libero scambio. Ma questo interessa ai politologi. Agli elettori di Trump invece bisogna dire che l’inflazione riprenderà a correre perché le merci europee e cinesi a buon mercato che oggi consumano in abbondanza non ci saranno più. È come voler spegnere un fuoco buttando benzina, tanto è un liquido.

Non solo. Probabilmente farà di nuovo la sua apparizione la stagflazione, un fenomeno ormai dimenticato. I dazi di Trump produrranno inflazione ma anche recessione, riducendo il perimetro del commercio internazionale.

Non poteva mancare anche lo zuccherino fiscale. Trump si è spinto fino a dire che vorrebbe abolire l’imposta sul reddito e sostituirla con un’imposta sui consumi, esattamente come nell’Ottocento. Ovviamente questo progetto, realmente allucinante, aumenterebbe il costo di tutte le merci ma salverebbe nel contempo i redditi della cricca dei miliardari che è il motore del successo di Trump.

L’esperienza dimostra che le guerre commerciali su larga scala come quella che Trump inizierà, se non subito fermate, si sono poi trasformare in qualcosa di ben diverso. I rumori di fondo già si sentono e molte risorse verranno dirottare verso l’industria militare. Forse, ma molto forse, il nuovo dittatore americano otterrà la pace da quello russo sulla pelle dell’Ucraina. Di sicuro verranno accesi molti altri focolai di guerra commerciale in un contesto geopolitico che non promette nulla di buono, anche perché gli Usa non sono più i primi della classe che invece si trovano in Asia.

Il secolo XXI non sarà il secolo americano e l’età dell’oro di cui parla Trump è ampiamente alle spalle.

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