Chissà se esiste un modello universale per valutare se un avvocato è “buono” o “cattivo”, prim’ancora che bravo o scarso a fare il suo mestiere. Forse l’esercizio diventa più semplice se si prova a restringere un po’ il campo. Focalizziamoci sulla crisi climatica e proviamo a metterla così: come si fa a dire se un avvocato con la sua attività sta aiutando a contrastare la crisi climatica (cioè è “buono”) oppure no, e magari sta persino contribuendo ad alimentarla (cioè è “cattivo”)?

Restringiamo un altro po’ il campo. Focalizziamoci ora sulla prima causa della crisi climatica, l’utilizzo dei combustibili fossili, responsabile di circa il 90% delle emissioni globali di CO2. E proviamo a metterla così: come si fa a dire se un avvocato sta sostenendo l’industria fossile (è “cattivo”), o se invece lavora a favore dell’abbandono delle fonti fossili e per l’accelerazione della transizione verso le rinnovabili (è “buono”)?

Si scopre allora che un modello utile per rispondere a questa domanda esiste. Anche se non si riferisce a singoli avvocati ma a studi legali. A proporlo è LSCA-Law Students for Climate Accountability, un’iniziativa partita nel 2020 grazie all’impegno di studenti universitari di giurisprudenza statunitensi. Obiettivo: evidenziare il ruolo cruciale che gli studi legali svolgono riguardo alla crisi climatica, spesso però poco considerato. Far emergere le loro responsabilità. E spingerli a passare dalla difesa degli interessi dell’industria fossile alla promozione della transizione ecologica.

Il modello LSCA Law Firm Climate Change Scorecard, affinato negli anni, è stato pensato per i grandi studi legali Usa, quelli della classifica Vault 100. Considera la loro attività su un periodo di cinque anni e su tre dimensioni. Transactions, la prima, guarda ai servizi che gli studi legali offrono a BigOil quanto a contratti, M&A, finanziamenti ecc. Litigation, la seconda, considera il loro ruolo a difesa di BigOil nei contenziosi dove l’industria fossile è chiamata a rispondere dei suoi comportamenti, per non dire di quelli in cui è BigOil ad attaccar briga – legalmente parlando – ad esempio con gli attivisti climatici. Lobbying, la terza, consiste nelle attività con cui gli studi legali promuovono l’agenda di BigOil presso il legislatore e le agenzie governative competenti su questioni climatiche, per ammorbidire, ritardare, magari anche annullare norme e regolamenti sfavorevoli a BigOil (ad esempio su riduzione delle emissioni di gas serra, sussidi, licenze di estrazione): un ambito in cui è facile prevedere che con Trump nello studio ovale potrebbero aprirsi praterie, ma questa è un’altra storia.

Se si confrontano la classifica del report LSCA del 2024 e la prima, del 2020, si vede che gli studi legali col punteggio massimo (A) sono aumentati, ma di poco. La larghissima maggioranza continua ad essere relegata nelle fasce col punteggio più basso (D e F). Tra 2019-2023 gli studi legali della Vault 100 hanno facilitato 2,89 trilioni di dollari in transazioni per BigOil, hanno rappresentato BigOil in 518 casi, hanno ricevuto compensi per quasi 33 milioni di dollari per attività di lobbying pro-BigOil. Per la prima volta, però, nella classifica 2024 è diminuita l’attività di lobbying a favore di BigOil, mentre è cresciuta quella a favore di clienti del settore energie rinnovabili. Anche sulle transactions, com’era accaduto già l’anno prima, l’attività per BigOil è diminuita ed è aumentata quella per il settore rinnovabili, sebbene la dimensione della prima resti più di tre volte quella della seconda. In sintesi: molto resta da fare, qualcosa sta cambiando, ma il passo è lento.

Oltre a elaborare la classifica degli studi legali più “fossili”, LSCA propone dei pledge, cioè invita a prendere impegni formali. C’è il pledge che chiede agli studi legali di non accettare nuovi lavori per BigOil e di porre fine entro il 2025 ai lavori in essere. C’è il pledge rivolto agli studenti, cui si chiede di impegnarsi a non lavorare per studi legali che sostengono l’industria fossile: al riguardo viene in mente l’invito a non lavorare per chi distrugge il clima (“don’t work for climate wreckers”) che il Segretario Generale dell’Onu, Antonio Guterres, fece un paio d’anni fa a giovani laureati statunitensi. C’è infine il pledge per i clienti degli studi legali, a cui si chiede di non rivolgersi ai lawyers che sostengono l’industria fossile. In altre parole, LSCA parla a tutti gli attori – avvocati e studi legali, studenti, clienti – per cercare di spingere l’ecosistema legale lontano dalle fossili e verso la transizione.

Nella classifica di LSCA per il 2024 sono stati inseriti per la prima volta anche studi legali attivi nel Regno Unito e in Irlanda. Precedenti report disponibili sul sito di LSCA hanno anche approfondito il ruolo svolto a favore dell’industria fossile dal settore legale in Canada. Questo modello, insomma, inizia a proporsi e a trovare attenzione anche al di fuori degli Stati Uniti.

Chissà se qualcuno prima o poi si prenderà la briga di provare a portarlo in Italia.

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