Avrebbe trovato la pistola, una Beretta calibro 9×21, seminascosta sullo pneumatico di un’auto parcheggiata a abbandonata nella piazzetta in zona Tribunali a Napoli, dove di lì a poco sarebbe partito per sbaglio il colpo che ha ammazzato il 18enne Arcangelo Correra. Questa la difesa di Renato Caiafa, il ragazzo di 19 anni da ieri alle 22 in stato di fermo nel carcere di Poggioreale, con accuse di ricettazione e porto abusivo di armi, e solo indagato per quello che al momento appare come un omicidio colposo.

Difeso dall’avvocato Annalisa Recano per l’imminente convalida davanti al Gip di Napoli, Caiafa ha offerto questa versione dei fatti nel corso di un interrogatorio al pm Ciro Capasso durato circa due ore ed attraversato da pianti e disperazione: Caiafa e Correra erano molto amici (ma non cugini, come erroneamente riportato finora), legatissimi, abitavano a poca distanza, trascorrevano giornate e nottate insieme. Come quella finita drammaticamente quasi all’alba di sabato, con Caiafa che maneggia l’arma, la ‘testa’ e scarrella, convinto – avrebbe detto al pm – che quella pistola non fosse vera ma una perfetta imitazione. Fino a quando non parte lo sparo sulla fronte di Correra, morto dopo alcune ore nell’ospedale Vecchio Pellegrini. Lo scooter usato da Correra, Caiafa e dal terzo amico minorenne per arrivare in piazza, si sporca così di sangue e materia cerebrale. Sarà lo stesso Caiafa a portarlo in Questura, insieme alla pistola, e agli indumenti indossati al momento dello sparo, anche questi macchiati di sangue.

Gli investigatori della Mobile, agli ordini del primo dirigente Giovanni Leuci, proseguono però le loro indagini sull’origine dell’arma. Per nulla sicuri dell’autenticità di questa ricostruzione, che potrebbe invece coprire altre persone non ancora coinvolte.

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