Si chiude l’era della globalizzazione, le poche decadi di eccezionale apertura commerciale iniziate poco prima del crollo del muro di Berlino, una fase economica che ha visto il ricco Occidente spostare la produzione nei paesi poveri e così facendo trasformarli in economie emergenti, avanzate e perfino in pericolosi concorrenti nel caso della Cina. Volge al termine a causa dell’inevitabile vizietto del protezionismo, un’arma spesso a doppio taglio. Adesso che la delocalizzazione congiunta al massiccio flusso di migranti sono diventati una minaccia per gli Stati Uniti si costruiscono barriere ed erigono muri per bloccarli.
La retorica di Donald Trump, quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti, è funzionale a questa minaccia ed è per questo che può essere definita la retorica della fortezza America, un concetto sicuramente medioevale, ma che nel caos geopolitico odierno e nell’instabilità esistenziale sprigionata dalle forze della globalizzazione produce l’illusione di sicurezza. Ed infatti questa retorica ha vinto.
Non è la prima volta che il tentativo di globalizzazione fallisce in malo modo, l’ultima volta è successo alla fine del XIX secolo. La risposta più visibile alla crisi del 1873 fu un ritorno al protezionismo nell’Europa continentale nell’ultimo quarto del secolo. Inesorabilmente, il protezionismo e l’erosione del gold standard divennero il preludio della Prima guerra mondiale. Anche allora come oggi, l’apertura al mondo, il cosmopolitismo commerciale si rivelò un drago irascibile, molti hanno provato a cavalcarlo, Clinton, Bush, Obama e Biden, ma nessuno è rimasto in sella abbastanza a lungo per domarlo.
Economisti illustri prevedono che la politica della fortezza di Donald Trump produrrà un’apocalisse economica simile a quella della fine del XIX secolo, e certo partendo dal presupposto che globalizzazione e libero scambio sono la formula vincente per l’economia mondiale si arriva a questa conclusione. La teoria economica sulla quale si costruisce questa certezza è solida e vecchia quanto la rivoluzione industriale, eppure la sua applicazione a livello globale ha sempre fatto cilecca.
L’ultima globalizzazione non è stata una manna dal cielo per l’Occidente: sì, è vero ha dato al capitalismo una boccata d’ossigeno in un momento critico, ma per la forza lavoro, l’altra componente dell’equazione della produzione, è stata una iettatura. Prima con la corsa dei salari verso il basso e poi con la sostituzione del lavoro con le macchine ed infine l’avvento dell’intelligenza artificiale minaccia di rendere gran parte del lavoro obsoleto. Ebbene questo processo di erosione del lavoro ha portato molti a diffidare dello Stato e delle istituzioni politiche e del mondo oltre i propri confini.
Questa volta però l’opzione guerra non è fattibile per diversi motivi, primo fra tutti la proliferazione nucleare. Più probabile, invece, è la costruzione di un nuovo ordine mondiale semi-medievale, con una classe di moderni baroni infinitamente ricca che presta giuramento di fedeltà al re Trump, ma senza una Magna carta! L’accordo è esclusivamente condizionato ai vantaggi i primi ed il secondo riescono ad ottenere dalla loro alleanza.
Il resto della popolazione, le masse, la moderna plebe, saranno livellate in scaglioni di ricchezza relativamente bassi e vicini tra di loro. La tecnologia farà da collante al funzionamento dei moderni feudi, sistemi economici, politici e sociali relativamente chiusi, gusci di stato, in quanto legittimati dalla rabbia e dalla paura del diverso e non dalle scelte di chi vi fa parte. Questi gusci di Stato formatesi attraverso le tempeste di protezionismo finiranno per allearsi creando arcipelaghi politico-economici incredibilmente simili nella struttura della gestione della cosa pubblica. Non si tratta di multipolarismo, tra arcipelaghi esisterà un’ostilità latente, una forte competizione che potrebbe sfociare in guerre per procura localizzate.
L’artefice di questo nuovo sistema, che non è detto degenererà nella distopia, sarà Trump e la retorica della fortezza che ha già conquistato la destra europea. Russia, Cina, India e molte economie emergenti si sono da tempo posizionate a riguardo durante il primo mandato di Trump e di Biden. Nuove alleanze si sono formate che stanno lavorando alla costituzione degli arcipelaghi di cui sopra.
A pochi giorni dalla vittoria di Donald Trump in America si respira l’aria del cambiamento, quanti sono coscienti che la traiettoria potrebbe essere quella descritta in questo articolo? Forse pochi. Ma per ora gli americani si godono l’illusione di sicurezza che il quarantasettesimo presidente gli ha regalato.