Il destino sembrava già scritto: Antonio Tomasello, 38 anni, originario di Bronte, avrebbe aperto una gelateria in Germania. Specializzato in Linguistica, si è trasferito nel 2010 ad Amburgo per tentare la carriera accademica, ma dopo alcuni progetti di ricerca sparsi per il mondo – dall’Italia al Messico – nelle sue scelte ha prevalso quello che aveva nel dna. “Mio padre ha sempre fatto il gelataio in Germania – racconta a ilfattoquotidiano.it – partiva ogni anno dalla Sicilia per la stagione estiva, lo raggiungevo quando finiva la scuola e così mi sono avvicinato all’arte del gelato”. Nel 2016 l’idea di aprire un laboratorio a Kreuzberg, quartiere multietnico berlinese. Lì, tra i palazzi coperti di street art, i mercatini e le birrerie storiche, è nata la sua attività imprenditoriale.

“Sono partito con poche migliaia di euro, l’aiuto pratico dei miei amici mi ha permesso di avviare l’azienda quasi gratis”, ricorda. La prima fortuna è stata trovare il locale a un prezzo accessibile, poi ogni persona conosciuta negli anni ha fatto la sua parte. “C’è chi ha curato il logo perché grafico, chi il bancone perché falegname, chi mi ha aiutato a ragionare sul nome e sulla pubblicità perché aveva esperienza nella comunicazione”. Questo ha azzerato i costi. “È stata una creazione collettiva – racconta Antonio -, i miei cari hanno voluto partecipare perché mi volevano bene ed erano entusiasti che aprissi una realtà mia”. Da allora sono passati quasi otto anni, tempo in cui i numeri della sua attività si sono moltiplicati.

Oggi Antonio ha 5 negozi in tutta Berlino, circa quaranta dipendenti part-time e un fatturato 2023 intorno al milione e mezzo di euro. “Nessuno ci avrebbe mai scommesso”, riflette. Il segreto del suo personale traguardo, lo attribuisce innanzitutto allo studio: “Leggo di tutto, mi informo con ogni mezzo, osservo gli chef più importanti e cerco di imparare da loro, solo così penso di potere creare un prodotto valido”. L’altra fetta del successo la associa alla lontananza da casa. “Potrà sembrare ovvio – spiega – ma per me si è avverato il detto ‘Cu nesci arrinnesci’ (in italiano: ‘Chi esce riesce’, ndr) che inculcano ai siciliani fin dalla nascita”. A casa sua, a Bronte, non sarebbe riuscito a costruire tutto questo, ne è convinto. In parte a causa della burocrazia: “Qui si fa tutto con un click, le aziende sono agevolate nell’avvio e i controlli arrivano in un secondo momento. In Italia ogni progetto comporta rallentamenti e ostacoli”.

Oltre a questo, per Antonio, ha influito la consapevolezza di essere lontano fisicamente. “Se creassi qualcosa in Sicilia sentirei troppi occhi addosso, degli affetti ma anche di chi non mi conosce – racconta -. A Berlino c’è più libertà, nessuno giudica, vieni apprezzato se sei costante, se combatti per portare avanti il tuo lavoro, anche se all’inizio i frutti non sono ottimi”. Di frutti, Antonio ne maneggia parecchi ogni giorno ed è così che ha conquistato i palati tedeschi. Come si intuisce dal nome, il progetto dietro alla sua gelateria è quello di abbinare un gusto a un altro, nella convinzione che due sapori si esaltino a vicenda. “Fino a pochi anni fa a Berlino vigeva la consuetudine di mangiare un gelato monogusto, io ho voluto insistere sugli abbinamenti, anche creativi”. Senza tradire le sue origini, sul pistacchio ha concentrato alcuni degli accostamenti più originali inseriti nel menù, come pistacchio e maracuja ma anche il gusto Etna, che mischia mandorle e crema di pistacchio o ancora il bacio siciliano, a base di pistacchio, mandorla e nocciola”. Il cuore insomma, al di là delle difficoltà, è rimasto in Sicilia. “Tornerei per un progetto con impatto sociale e sul territorio, perché credo che sia quello di cui la Sicilia ha bisogno. Ma la mia gelateria rimarrà per sempre qui”.

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