E’ l’ultima tegola sull’operazione Albania, quella che il governo promette di portare avanti nonostante i rinvii dei giudici alla Corte di giustizia europea che ieri hanno liberato anche gli ultimi sette migranti, già portati in Italia. Si tratta dei costi di manutenzione degli impianti costruiti per far funzionare l’hotspot di Shenjin e il Cpr di Gjader, e ammontano a una spesa annuale di tre milioni e 200 mila euro. Cifra che dettaglia una spesa complessiva esorbitante, soprattutto a fronte dei risultati, finora nulli.

E’ quanto previsto nell’avviso di manifestazione di interesse – sottoscritto dalla Prefettura di Roma – per l’affidamento del servizio di manutenzione ordinaria, straordinaria, presidio e full risk degli impianti elettrici, di climatizzazione, idraulici, di sicurezza, informatici, di telecomunicazione e dei moduli abitativi dei centri italiani in Albania di permanenza per il rimpatrio dei migranti. L’importo annuo complessivo stimato, oltre all’iva, è diviso tra 96 mila euro di oneri per la sicurezza e due milioni e 240 mila per i costi della manodopera.

Per il Protocollo Italia-Albania il governo ha inizialmente indicato una spesa di circa 800 milioni di euro. Ma si è presto capito che la cifra è sottostimata. I due viaggi del pattugliatore della Marina, la nave Libra da 80 metri e 200 posti, potrebbero essere costati più di 200 mila euro l’uno. A bordo 16 migranti la prima volta e appena otto la seconda, poi tutti portati in Italia e inizialmente intercettati nelle acque internazionali a Sud di Lampedusa, nelle stesse 48 ore in cui sulle coste italiane sbarcavano 1.600 persone. Per non parlare degli agenti della penitenziaria che si sono lamentati dei loro alloggi spartani, ma soprattutto del resort stellato con piscina che invece ospita polizia e carabinieri per 9 milioni di euro all’anno.

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