Il rapporto stilato da Fondazione Ecosistemi per Wwf Italia calcola 1.305.066 posizioni professionali solo dalle fonti rinnovabili
Perdita di posti di lavoro, crisi occupazionale, povertà: gli oppositori della transizione energetica spesso adducono tra le cause della resistenza al cambiamento una drammatica disoccupazione. La tesi, però, non corrisponde a verità: le energie rinnovabili stanno portando e porteranno sempre più, mano mano che il processo di decarbonizzazione avanza, decine di migliaia di nuovi posti […]
Perdita di posti di lavoro, crisi occupazionale, povertà: gli oppositori della transizione energetica spesso adducono tra le cause della resistenza al cambiamento una drammatica disoccupazione. La tesi, però, non corrisponde a verità: le energie rinnovabili stanno portando e porteranno sempre più, mano mano che il processo di decarbonizzazione avanza, decine di migliaia di nuovi posti di lavoro.
A fornire numeri precisi, basati su una metodologia complessa che tiene conto di numerose variabili, è un rapporto stilato da Fondazione Ecosistemi per Wwf Italia e focalizzato “sugli impatti economici e occupazionali delle politiche per un sistema elettrico decarbonizzato nel 2035”.
Dalle reti agli impianti, la ricaduta sull’occupazione è fortissima
Per arrivare a una stima degli impatti occupazionali ed economici è stato necessario, spiega il Rapporto, indagare su due diverse aree. Quella relativa alle reti e quella relativa agli impianti di produzione, nell’arco delle loro principali fasi del ciclo di vita (costruzione, installazione, manutenzione). Sia per le reti che per gli impianti vengono fornite indicazioni relative agli impatti occupazionali, espressi in quantità di lavoro prestato nell’anno da un occupato a tempo pieno (cosiddette ULA).
L’indagine ha dunque stimato separatamente, relativamente alle reti e agli impianti, gli impatti economici ed occupazionali riguardanti il settore fotovoltaico (impianti utility scale); il solare fotovoltaico su tetto; l’eolico offshore e l’eolico onshore, gli impianti biomassa, gli impianti idroelettrici. “Anche facendo dei calcoli molto conservativi, perché non abbiamo preso in esame tutti i segmenti della transizione energetica – manca ad esempio la rete di distribuzione, perché non ci sono cifre che potessero essere valide per noi – e prendendo in esame solo le persone occupate stabilmente, abbiamo avuto dei numeri estremante interessanti sulle prospettive occupazionali”, afferma Mariagrazia Medulla, responsabile Clima ed Energia del Wwf. Che precisa: “E sono dei numeri per difetto. La ricaduta occupazionale è fortissima”.
1.305.066 posti di lavoro solo dalle fonti rinnovabili
Venendo, appunto, alle cifre: per quel che riguarda la stima degli occupati al 2035 collegati al settore delle Fonti Energetiche Rinnovabili complessivamente si tratta di 104.212 unità di lavoro, di cui 93.273 – 74.050 di fotovoltaico – in Italia e 10.939 unità all’estero.
Se invece calcolassimo l’occupazione complessiva del settore delle Fonti Energetiche Rinnovabili, generata nel corso dell’intero ciclo di vita degli impianti, pari a 25 anni, questa ammonterebbe invece a 1.305.066 unità – di cui 918.490 fotovoltaico e 278.372 tra eolico on e off shore e 74.221 relativo al settore biomasse – la maggior parte delle quali, 1.069.250 unità, localizzate in Italia. E si tratta di numeri, specifica il rapporto, probabilmente sottodimensionati. Se includessimo, tra l’altro, anche le attività di decomissioning, cioè di smantellamento degli impianti, l’occupazione salirebbe a comprensiva delle attività di decomissioning, questa ammonterebbe a 1.383.201 unità di lavoro.
Per quanto riguarda le reti, in termini occupazionali, complessivamente si possono stimare al 2035 12.094 unità di lavoro localizzate in Italia e 1.422 all’estero. L’occupazione complessiva generata nel corso nel corso dell’intero ciclo di vita dell’opera, pari a 50 anni, ammonterebbe a 57.079 unità, con circa 44.452 unità nelle attività fase di gestione (esercizio e manutenzione), di cui l’82% circa in Italia. “Solo chi è in malafede dunque”, continua Medulla, “può dire che la transizione vuol dire perdita di posti di lavoro: in realtà vuol dire cambiamento di posti di lavoro. Però siamo ben coscienti e ci preoccupiamo del fatto che nessuno soffra l’impatto della transizione, che questo passaggio vada governato: i lavoratori attuali vanno formati per le nuove occupazioni, quelli occupati nel settore del fossile devono trovare posti di lavoro nei nuovi settori della transizione. E ovviamente i lavoratori che per ragioni di età o altre ragioni rimanessero fuori non devono restare senza fonti di reddito, serve mettere in campo cioè strumenti come la cassa integrazione e gli ammortizzatori sociali. Ripeto, deve esserci una governance della transizione”.
Occupazione legata alla decarbonizzazione
I numeri del rapporto sono legati, ovviamente, alle azioni di decarbonizzazione, in particolare all’installazione di produzione elettrica da fonti rinnovabili 8 volte superiori rispetto alle installazioni attuali annue fino ad arrivare al 2035 a circa 250 GW di capacità installata, per permettere al settore di coprire, con energia rinnovabile, circa il 65% dei consumi finali elettrici lordi e una riduzione del 55% di emissioni di CO2. Non deve entrare in funzione nessun nuovo impianto di Carbon Capture Usage and Storage, deve essere previsto un tetto massimo alla capacità di generazione elettrica da biomasse (al fine di rispettare l’obiettivo di miglioramento della qualità dell’aria) e ci deve essere un limite all’affidamento alle importazioni per evitare che il sistema si basi in modo eccessivo sulla decarbonizzazione generata fuori dall’Italia.
Infine, il rapporto calcola anche quanti soldi occorrono per fare la transizione. “Gli investimenti necessari ammontano a 161 miliardi di euro, che non riguardano i soldi dello Stato, ma quelli che in totale vanno mobilitati, quindi anche investimenti privati”, continua Mariagrazia Medulla. “E questi investimenti, almeno in termini permanenti, in Italia si tradurrebbero in un vantaggio economico di 350,6 miliardi di euro, tra ricadute sull’edilizia, servizi e professioni e altre attività dell’economia”. Per quanto riguarda le reti, gli impatti economici diretti e indiretti ammonterebbero a 48,6 miliardi, con ricadute su attività manufatturiere, edilizia, servizi e professioni e sul resto delle attività. “Sono numeri”, conclude l’esperta Energia e Clima del Wwf, “che ci hanno sorpreso, perché ritenevamo che sarebbero stati più ingenti: invece i calcoli dimostrano che se noi rinunciamo al Ponte sullo stretto, di cui ha bisogno solo chi lo vuole fare, possiamo avere i fondi necessari per fare la transizione, perché sono, appunto, delle cifre ampiamente gestibili”.