Politica

Lo star-system non sposta più voti a sinistra: colpa di una gestione classista della cultura

Dal vaso di Pandòro, il pamphlet di Selvaggia Lucarelli sul crollo dei Ferragnez, agli ‘ininfluencer’ è stato come un attimo. L’effetto paradosso dell’appoggio unanime a Kamala Harris e dell’anti-trumpismo dello star-system americano, ha fatto scrivere (Paolo Giordano, il Giornale) che la rilevanza oggettiva, sociale e politica, del mondo dello spettacolo e insieme delle celebrità post-digitali, se mai c’è stata, è al tramonto.

Ma il crollo delle élites piuttosto che, all’opposto, la regressione indotta dalle fake-news, sono pezzi di verità ma certo non spiegano il fenomeno di fondo: il saggista Yuval Noah Harari parla di una sorta di disillusione nichilista nei confronti della panacea liberale, che si è retta solo alimentando costantemente un livello altissimo di aspettative. E queste di fatto sono state incarnate in uno star-system ormai sempre più allargato agli ‘artisti’ veri o presunti di ogni genere. Il livello parossistico delle leve finanziarie e la folle moltiplicazione dei valori è uscito dall’astrazione per mostrarsi in carne ed ossa, di Madonna o di Damien Hirst, di Taylor Swift o di uno sportivo.

La sinistra liberal è stata lo strumento politico principale di questo sistema con il Totem ‘mercato’, rubando per così dire il lavoro ai conservatori liberali, e anche questo spiega il mancato effetto degli appelli delle celebrità, e/o l’emarginazione a ‘ininfluencer’ dei volti democratici più noti. Il che vale anche per l’Italia.

Ora il mondo della panacea liberale ha portato tutti allegramente dentro una pseudo-realtà plasmata dalla più colossale delle fake-news, come ben spiegato nelle ’21 lezioni per il XXI secolo’ sempre da Harari – non a caso un saggista considerato anomalo e troppo semplificatorio, accusato addirittura di populismo scientifico.

Il mondo dello spettacolo riflette da decenni a specchio l’evoluzione dei modelli di riferimento della società, dopo la ‘fine della storia’, il crollo del comunismo e l’affermazione universalistica dei valori del capitalismo. A osare ancora essere ‘contro’ o anche solo non omologato, presentando proposte di vera alterità, o di semplice originalità, si sono attardati davvero in pochi, sempre più marginalizzati. Hai voglia adesso a sventolare lo spettro di una ‘contro-egemonia’ della destra, per due mostre su Tolkien e sul futurismo volute dal malcapitato Gennaro Sangiuliano, o per una ‘riformicchia’ qualunque che Alessandro Giuli firmerà tra tante chiacchiere sul pensiero solare, l’apocalittismo difensivo e gli aberrigeni: è stato lo zelo efficientista dei ministri della sinistra, neo-convertiti alla panacea liberale universalistica, che ha spalancato le porte al mercato e alla fine si è tradotto nella distruzione della cultura e della sua – pur pessima ma pubblica – organizzazione d’epoca precedente.

Oggi alla destra non resta altro da fare che piccoli ritocchi coi decreti e grandi lottizzazioni. Basta e avanza l’impianto legislativo chiave con cui Veltroni e Franceschini hanno smontato l’apparato culturale pubblico, a partire dalla legge del 1996 sulle Fondazioni liriche, che fu addirittura materialmente scritta in Bocconi, o dalla riforma burocraticista dei teatri, che ha quasi dissodato i mille sedimenti del giacimento artistico delle compagnie, dove si pratica ‘lo scandalo della bellezza’.

Pregevolissime seppur ormai scalcagnate istituzioni pubbliche, che avrebbero dovuto continuare a seminare gli anticorpi della cultura nella società, sono state di fatto privatizzate e normalizzate, affidate a lobbies e/o ai cosiddetti manager (quelli che poi organizzano l’Instagrammata di Chiara Ferragni agli Uffizi, davanti alla Venere di Botticelli). Magari queste lobbies e conventicole di potere sono pure ‘progressiste’, amano promuovere attraverso lo spettacolo e l’arte ‘il placebo della tolleranza’, che in realtà ‘è solo il rovescio (o la verità) di un sistema globale di asservimento e sfruttamento’ (i virgolettati sono da una recente ‘lectio magistralis’ di Milo Rau sul teatro come luogo di resistenza).

I guasti di questo disastro si vedono, eccome, se in Italia risultano ormai al 20 per cento i giovani esclusi dai consumi culturali d’ogni sorta, che non hanno mai letto un libro o visto uno spettacolo. Così una sinistra classista e neo-liberale ha innescato il circolo vizioso che sta producendo l’apocalittica ‘seconda venuta del neoliberismo (e del nazionalismo)’, la fine del mondo della cultura così come lo conoscevamo.