In vista della scadenza dell’ultimatum dato da Washington al governo israeliano sulla situazione umanitaria a Gaza, otto tra le principali organizzazioni umanitarie internazionali valutano che Tel Aviv non ha rispettato l’impegno di migliorare le condizioni della popolazione civile della Striscia. Il report, firmato da Anera, Care, MedGlobal, Mercy Corps, Norwegian Refugee Council, Oxfam, Refugees International […]
In vista della scadenza dell’ultimatum dato da Washington al governo israeliano sulla situazione umanitaria a Gaza, otto tra le principali organizzazioni umanitarie internazionali valutano che Tel Aviv non ha rispettato l’impegno di migliorare le condizioni della popolazione civile della Striscia.
Il report, firmato da Anera, Care, MedGlobal, Mercy Corps, Norwegian Refugee Council, Oxfam, Refugees International e Save the Children, afferma che “Israele non solo non ha soddisfatto i criteri” richiesti da Antony Blinken e Lloyd Austin nella lettera inviata al primo ministro Benjamin Netanyahu, ma ha anche intrapreso azioni “che hanno drammaticamente peggiorato la situazione sul terreno, in particolare nel nord di Gaza”. La situazione, è la conclusione delle ong, “è oggi ancora più disastrosa che un mese fa”.
Il rapporto spiega che delle 19 misure richieste da Washington Israele ne ha ignorate 15 e ha rispettato solo parzialmente quattro richieste.
Martedì L’esercito israeliano ha annunciato l’apertura di un quinto valico per l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza: quello di Kissufim, situato di fronte al Kibbutz Kissufim e il più vicino alla città di Deir al Balah nella Striscia. Secondo l’Idf, che controllerà tutti i carichi inviati, in questo modo si potrà consentire la consegna di cibo, acqua, forniture mediche e attrezzature per l’accoglienza nella zona centrale e meridionale di Gaza. Questa era una delle principali richieste degli Stati Uniti, ma la mossa è considerata insufficiente dagli osservatori internazionali. Le Nazioni Unite hanno più volte dichiarato di non riuscire a consegnare gli aiuti per la popolazione a causa dei disordini e delle restrizioni imposte dalle truppe israeliane sul campo. Gli abitanti del nord della Striscia, secondo l’Onu, hanno già un’alta probabilità di essere interessati da una condizione di carestia. Anche a sud, centinaia di camion carichi di aiuti sono fermi sul lato di Gaza del confine perché le Nazioni Unite dicono di non poterli raggiungere per distribuirli.
Il termine ultimo imposto dall’amministrazione Biden a Netanyahu per migliorare la situazione umanitaria di Gaza scade martedì a mezzanotte. Se gli Usa dovessero valutare che Israele non ha rispettato le richieste potrebbero fermare l’invio di armi all’alleato mediorientale. Ci sarebbero infatti i termini per far scattare le leggi statunitensi che impongono di ridurre il sostegno militare agli Stati che violano i diritti umani.
Israele in extremis ha annunciato una serie di misure dall’impatto poco chiaro. Oltre all’apertura del valico per Deir Al Balah, ha annunciato una piccola espansione della zona umanitaria sulla costa (ad Al Mawasi), dove centinaia di migliaia di palestinesi vivono in tendopoli di fortuna, e ha riallacciato l’elettricità a un impianto di desalinizzazione dell’acqua.
La settimana scorsa il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Matthew Miller, ha dichiarato che Israele aveva fatto “alcuni progressi, ma deve fare di più”.
Il nuovo ministro degli Esteri israeliano, l’estremista di destra Gideon Saar, ha dato dimostrazione di considerare l’ultimatum americano inefficace. Soprattutto dopo la vittoria di Donald Trump alle presidenziali.