Marco Rubio. Stephen Miller. Elise Stefanik. Lee Zeldin. Ci sono veterani della Washington politica tra le figure che in queste ore Donald Trump sceglie per la sua amministrazione. E c’è chi, come Susie Wiles, lavora con lui da una vita. I criteri che il futuro presidente degli Stati Uniti sembra seguire per le nomine sono due. Da un lato, la provata fede conservatrice, per dare il segno della forte virata a destra della politica americana. Dall’altro, la fedeltà dimostrata nei suoi confronti, soprattutto nei momenti più difficili e turbolenti. Le tessere del nuovo governo USA non sono ancora tutte occupate, ma il quadro appare già sufficientemente definito.

Le nomine già fatte – Per la carica di segretario di stato, Trump ha scelto Marco Rubio. Senatore della Florida dal 2011, Rubio sarà una delle poche figure di questa amministrazione dotate di una fisionomia politica autonoma. La nomina di un senatore esperto, membro da anni dell’establishment repubblicano, è del resto un modo per rassicurare la comunità internazionale, soprattutto gli europei, sulle presunte mire autocratiche trumpiane. Durante la campagna elettorale appena trascorsa, Rubio è stato un leale sostenitore della squadra Trump/Vance, per cui ha fatto campagna in tutti gli Stati Uniti. Su posizioni da “falco” in politica internazionale, soprattutto nei rapporti con Cina e Iran, Rubio si è avvicinato a Trump sulla guerra all’Ucraina. Di fronte all’impasse politico e militare, il senatore ha detto che la guerra “deve essere condotta a una conclusione”. Rubio sarà negoziatore esperto e preparato con i Paesi dell’America latina. Sceglierlo è anche un modo per premiare la comunità ispanica del sostegno ricevuto a queste elezioni. Per l’altra carica di politica internazionale importante, quella di ambasciatore all’ONU, Trump si è invece orientato su una fedelissima, Elise Stefanik. 40 anni, è deputata eletta nell’upstate New York e grazie alla sua fedeltà al capo ha scalato rapidamente il partito, fino a diventare chair della Conference repubblicana. Non le si riconoscono particolari competenze su questioni internazionali o relative alla sicurezza, se non l’appoggio incondizionato a Israele. Stefanik ha svolto un ruolo molto aggressivo nel denunciare la presunta tolleranza delle università USA verso forme di antisemitismo. La sua nomina non può che far felice il governo di Gerusalemme. A capo della diplomazia USA a Palazzo di Vetro, Stefanik fornirà appoggio incondizionato all’azione israeliana a Gaza.

Altro nome ben noto nei circoli trumpiani è quello di Thomas D. Homan. Ex agente di polizia, ex agente del Border Patrol, la polizia di frontiera, Homan è stato nominato “zar del confine”, con responsabilità anche sulle future operazioni di deportazione degli immigrati illegali. Homan è con Trump dal primo mandato e ne condivide la linea dura in tema di immigrazione – è stato per esempio un sostenitore della politica di separazione delle famiglie al confine, che suscitò sdegno in parte dello stesso mondo repubblicano. In un’intervista a CBS del mese scorso, Homan ha detto che con la nuova amministrazione ripartiranno i raid della polizia alla ricerca di illegali sui posti di lavoro – che Joe Biden aveva sospeso. Che Trump voglia dare realizzazione concreta alle sue promesse più radicali in tema di immigrazione lo dimostra anche la nomina a vice chief of staff di Stephen Miller. Miller è sin dal primo mandato uno dei più stretti collaboratori di Trump. Senza responsabilità politiche ed organizzative dirette, ha agito come suo consigliere, scrivendogli i discorsi e orientando in senso decisamente reazionario le sue scelte politiche. I rischi dell’immigrazione, la necessità di chiudere le porte d’America sono i temi su cui Miller ha lavorato senza sosta. Al termine del primo mandato, Miller non ha abbandonato il suo ex capo, ma ha continuato a consigliarlo, creando anche un gruppo no profit, “America First Legal Foundation”, con l’obiettivo di contrastare nei tribunali USA le politiche dell’amministrazione Biden. Come vice chief of staff, Miller continuerà ad avere responsabilità più politiche e di ispirazione ideologica. Si sa che negli ultimi due anni ha lavorato ai piani per le deportazioni, che dovrebbe realizzare proprio in collaborazione con Homan.

Altra figura del cerchio più ristretto di Trump nominata nella nuova amministrazione è Michael Waltz, deputato della Florida, destinato a diventare consigliere alla sicurezza nazionale. Ex Berretto Verde, membro delle forze speciali dell’esercito USA, Waltz è noto per le sue prese di posizione decisamente anticinesi. A capo di EPA (Environmental Protection Agency), l’agenzia responsabile delle regolamentazioni ambientali, ci sarà un altro deputato, e un altro fedelissimo di Trump, Lee Zeldin, che nel 2020 votò contro la certificazione della vittoria di Biden. Non c’è agenzia del governo federale che Trump odi più di EPA, che considera responsabile degli ostacoli frapposti alle imprese USA, in particolare nei settori energetico e delle costruzioni. Da presidente, Trump cancellò oltre cento regolamentazioni, che poi Biden in gran parte ripristinò. Il suo secondo mandato inizia con un grido di battaglia, “Drill! Drill! Drill”, che promette trivellazioni ovunque e la parola fine a molti dei tentativi di transizione energetica portati avanti da Biden. A capo di EPA, Zeldin avrà un compito paradossale: quello di condurre in porto un’opera di riduzione dei poteri e dell’azione dell’agenzia da lui diretta. A completare il quadro c’è infine Susie Wiles, che sarà la prima chief of staff della storia americana. È stata la prima nomina annunciata da Trump ed è forse quella più importante per lui. In politica dai tempi di Ronald Reagan, di affidabili credenziali conservatrici, Wiles segue Trump con devozione, pugno di ferro organizzativo e discrezione dal 2015. È secondo molti la scelta perfetta per mettere ordine nel variopinto circo Barnum che si muove attorno al tycoon, e per organizzare priorità e strategie della nuova Casa Bianca.

Le nomine da fare – Trump ha promesso una profonda ristrutturazione di poteri e personale del governo americano. La cosa riguarda soprattutto il Dipartimento di Stato, che ha guidato le cause contro Trump e nei confronti di cui il tycoon e i suoi collaboratori hanno espresso propositi implacabili di vendetta. “Voglio trascinare i loro corpi politici per le strade, bruciarli, buttarli. Legalmente, politicamente e finanziariamente, naturalmente”, ha detto Mike Davis, avvocato ed ex assistente repubblicano al Senato. Tra i 115 mila dipendenti del Dipartimento di Stato regna la paura. Sono in particolare gli avvocati che hanno fatto parte del team legale degli special counsel che hanno indagato su Trump, Robert Mueller e Jack Smith, a temere per il loro posto di lavoro. I nomi che si fanno per la carica di attorney general sono tutti di provata fede trumpiana. Si parla di Mike Lee, senatore dello Utah, ampiamente coinvolto nel tentativo di Trump di ribaltare il risultato elettorale del 2020; di John Ratcliff, ex direttore della National Intelligence; e di Ken Paxton, attuale attorney general del Texas, uno dei “falchi” in tema di immigrazione. Ha diverse chance di vincere il ruolo anche Mark Paoletta, avvocato, cattolico integralista, intimo amico del giudice più conservatore della Corte Suprema, Clarence Thomas, e di sua moglie Ginni, militante trumpiana. Quello che Trump comunque vuole assolutamente evitare è scegliere un attorney general che non rispetti i suoi ordini. Come per esempio William Barr, nel ruolo durante la fase finale della sua prima amministrazione, che rifiutò di avvallare le accuse di elezioni manipolate.

Altra carica che attira molta attenzione è quella di segretario alla Sanità. Trump ha detto di voler dare a Robert F. Kennedy un “ruolo preminente” nelle politiche sanitarie. Ma la dichiarazione risale a quando aveva bisogno del suo sostegno in campagna elettorale. Ora le cose potrebbero cambiare. Le posizioni cospiratorie sui vaccini di Kennedy, unita alla sua richiesta di eliminare il fluoro dalle acque pubbliche, destano preoccupazione nella comunità scientifica americana ed è improbabile che Trump voglia spingere l’acceleratore delle polemiche in un settore cui non è particolarmente interessato. Il passato ambientalista di Kennedy potrebbe poi dare a Trump più di un problema nei piani di allargamento delle trivellazioni e allentamento delle regolamentazioni ambientali. Più probabile, al momento, che per Kennedy venga trovato un ruolo di consulenza. Altro nome che gira in questi giorni è quello di Elon Musk. Improbabile che Musk, proprietario di X, Tesla e SpaceX, accetti un ruolo formale nell’amministrazione. Sarebbe costretto ad affidare affari e imprese a un blind trust e non sembra che voglia farlo. Più probabile, anche per lui, un ruolo di consulenza, in particolare sulle strategie di tagli al budget federale.

Diversi candidati vengono in queste ore considerati per il posto di segretario al Tesoro. Tra questi, c’è John Paulson, miliardario degli hedge fund, nome tra i più in vista della finanza americana; e Robert Lighthizer, veterano in tema di relazioni commerciali, su cui alla fine Trump potrebbe orientarsi, considerata la sua ossessione per tariffe e concorrenza della Cina. Doug Burgum, governatore del North Dakota, dovrebbe probabilmente diventare segretario agli interni. Aspetto che attira particolare attenzione è infine quello relativo all’entrata nella prossima amministrazione di figure che hanno partecipato alla stesura del manifesto di Project 2025, la destra più reazionaria, sponsorizzato dalla Heritage Foundation. Oltre 140 funzionari della prima amministrazione Trump hanno lavorato al manifesto. Un ulteriore trasferimento di personale, in senso questa volta contrario, darebbe il senso della direzione più o meno conservatrice della prossima amministrazione. Tra gli autori del Project 2025 in possibile entrata al governo c’è Christopher Miller, ex agente delle forze speciali di polizia, indagato dalla Commissione sul 6 gennaio per presunta connivenza con gli assalitori. Miller potrebbe finire a dirigere il Pentagono.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti

TRUMP POWER

di Furio Colombo 12€ Acquista
Articolo Successivo

“Il flop di Harris? Il suprematismo ha infettato anche i gruppi non bianchi. Noi donne nere ci sentiamo tradite” | L’intervista

next