Non c’erano solo i Banksy falsi di cui aveva scritto a marzo il Fatto, esposti a Venezia e a Cervia. C’era un mondo intero di opere d’arte false (molti Banksy, ma non solo) prodotte in tutta Europa e commercializzate anche in Italia per essere battute all’asta o, nei casi più fortunati, esposte in mostra: operazione che consente all’opera, di norma, di acquisire ulteriore valore di mercato. È il quadro che emerge dalla maxi operazione dei carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale, condotta insieme alla procura di Pisa e coordinata a livello europeo dall’agenzia Eurojust, i cui esiti preliminari sono stati svelati l’11 novembre. L’operazione, denominata “Cariatide” – dal soggetto di un falso Modigliani intercettato, che ha fatto scattare le indagini -, ha preso il via nel 2023 dopo il sequestro, a casa di imprenditore pisano, di 200 opere d’arte contemporanea risultate contraffatte. Vede indagati 38 soggetti, in Italia e all’estero, per i reati di concorso in ricettazione, falsificazione e commercializzazione di beni d’arte. L’operazione ha portato al sequestro di oltre 2.100 opere di arte contemporanea che, secondo la procura, se immesse sul mercato avrebbero comportato un danno economico superiore ai 200 milioni di euro. Compresi falsi di Modigliani, Warhol, Banksy, Picasso, Mirò, Arman, Bacon, Kandisky, Klimt, Moore, Haussmann, Tapies, Chagall, Monet, De Chirico, Giacometti, Aubertin, Mituraj, Afro, Boccioni, Klee, Van Gogh, Basquiat, Vasarely, Pollock, Haring, Hopper, Death Nyc, Guttuso, Dalì.

Il tutto è iniziato, ha spiegato la procuratrice di Pisa Teresa Angela Cimelio, attraverso il monitoraggio di piattaforme di e-commerce di case d’asta e ha portato i Carabinieri ad accertare che sul mercato erano presenti opere messe in vendita a prezzi molto inferiori ai valori di mercato da varie case d’asta in Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia, Giulia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Campania, Puglia, Basilicata e Sicilia.

In Toscana e in Veneto sono stati identificati tre falsari in tre laboratori di pittura a Lucca, Pistoia e Venezia per la produzione delle opere contraffatte. Valori di migliaia di euro, troppo bassi per opere di Kandinsky, Mondrian o Banksy certo, ma comunque altissimi rispetto al costo di produzione di questi quadri o disegni. “La ricostruzione della filiera dei falsificatori – ha spiegato la procuratrice – ha permesso di accertare l’esistenza di una fitta rete europea, creatasi tra Spagna, Francia e Belgio, composta da soggetti dediti a tali lavorazioni i quali, una volta prodotto l’oggetto d’arte falso, provvedevano ad accordarsi con diverse case d’asta italiane, alcune delle quali compiacenti per la successiva pubblicazione alla vendita”.

Il caso delle mostre di Banksy – Alcuni degli sviluppi più importanti dell’indagine hanno riguardato proprio le opere di Banksy, anonimo e quotatissimo artista inglese. A Mestre (Museo M9, fondazione privata) e a Cervia (Magazzini del Sale, spazio pubblico) erano finite in mostra tre opere prodotte dalla rete di falsari all’estero e battute all’asta in Italia. Si trattava per Mestre di due “cartoni su spray”, “Dismaland 3D rat” e “Dismaland Monkey Tnt” presentati come souvenir di Dismaland (il parco divertimenti distopico creato da Banksy nel 2015 in Somerset), e per Cervia del cartello stradale “Love Rat”.

Le opere erano state inserite nel catalogo della mostra, ma ritirate dall’esposizione dopo l’esposto in procura di Stefano Antonelli, del Centro Studi Archivio Banksy, che ne aveva denunciato la falsità. Antonelli ieri, in conferenza stampa a Pisa con la procura, ha parlato della “più grande opera di tutela di Bansky” mai vista. “Si notava un afflusso enorme di opere di Banksy in asta, abbiamo iniziato già nel 2023 un lavoro di certificazione e verifica molto complesso. Particolarmente importante in questo quadro sono le mostre, perché rischiano di legittimare queste opere immesse sul mercato dalle case d’asta” spiega a ilfattoquotidiano.it.

Peggio è andata a una mostra organizzata a Cortona e aperta a luglio, “Banksy Forever”, che ospitava, secondo i riscontri della procura, solo opere false. Presentate però, esplicitamente, come originali. “Abbiamo avuto queste opere originali di Banksy – spiegava l’organizzatore della mostra – da una collezione privata e per esporle abbiamo scelto Cortona. Noi, ovviamente, come chiunque, non conosciamo Banksy. Conosciamo però un regista che ha girato un docufilm sulla sua vita, presentato anche alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia (questo non risulta, ndr), al quale Bansky ha regalato delle sue opere”.

Il regista in questione è finito nella lista degli indagati perché, secondo la procura, produceva i Banksy in un suo laboratorio nel veneziano, con altri due indagati. Lui rivendica di averle ricevute in dono da Banksy stesso, durante una visita a Venezia. L’amministrazione di Cortona, anche in risposta alle critiche dell’opposizione, ha preso le distanze dalla mostra con una nota, organizzata in spazi comunali, con biglietto intero 10 euro. “Ribadiamo fiducia nella magistratura, l’Amministrazione comunale è estranea a questa vicenda non avendo concesso il patrocinio all’evento in questione. Gli organizzatori hanno autonomamente affittato le sale del Centro convegni Sant’Agostino”.

Tutte le opere di Banksy sequestrate erano prive del certificato di autenticità del “Pest Control Office” (Ufficio di disinfestazione, letteralmente), l’ufficio di Banksy preposto a certificare le sue opere. Le attività condotte in Europa hanno permesso di individuare ulteriori tre laboratori del falso, con oltre 450 certificati di autenticità e 50 timbri tutti falsi. L’inchiesta proseguirà, secondo gli esperti le opere intercettate sono solo una piccola percentuale dei falsi presenti sul mercato.

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