Già diverse settimane prima del sequestro, delle torture e dell’omicidio al Cairo di Giulio Regeni, attorno al ricercatore italiano gli apparati egiziani avevano stretto una ragnatela attraverso l’acquisizione del passaporto a sua insaputa, le perquisizioni in casa in sua assenza, i pedinamenti, le fotografie e i video, sia attraverso le persone ‘amiche’ e i conoscenti che Regeni frequentava.

Quanto già emerso nel corso del processo a carico dei quattro 007 egiziani (Usham Helmi, il generale Sabir Tariq e i colonnelli Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, accusati del reato di sequestro di persona pluriaggravato, mentre al solo Sharif sono contestati anche i reati di concorso in lesioni personali aggravate e di concorso in omicidio aggravato, ndr), è stato confermato in Aula anche dalla testimonianza in modalità protetta, dietro un paravento per ragioni di sicurezza, della coinquilina tedesca di Giulio, identificata come “teste Beta”.

Un presunto appartenente ai servizi segreti egiziani, intorno al 15 dicembre 2015, si recò nell’abitazione di Regeni e chiese all’altro coinquilino di Regeni, l’avvocato egiziano Mohamed El Sayad, la copia del suo passaporto, ha riferito la teste, che all’epoca dei fatti divideva l’appartamento proprio con Giulio e lo stesso El Sayad. “Beta” ha raccontato quindi quello che l’avvocato gli riferì di quanto avvenuto quel giorno: “A casa nostra si presentò la polizia e chiese copia del documento di Giulio. El Sayad era convinto che questo controllo fosse stato realizzato dalla National Security, il servizio segreto egiziano”.

La testimone, che insegnava tedesco in una scuola privata, non era presente in casa quella mattina. “El Sayad era scosso, impaurito”. E ancora: “Si scambiò il numero di telefono con l’agente dei servizi e non raccontò della visita a Giulio. Gli disse solo che gli stranieri dovevano dare i documenti. Sospettava che lui avesse fatto qualcosa che non doveva fare. Dopo la scomparsa di Giulio, la polizia è ritornata a casa, ma non portarono via nulla. Io sono stata ascoltata per tre volte dalle autorità egiziane”, ha raccontato.

Da una analisi dei tabulati telefonici poi svolta dagli investigatori del Ros, presente in una informativa depositata, risulterebbero poi anche contatti telefonici tra il presunto agente dei servizi e il coinquilino di Giulio il 26 gennaio 2016, il giorno successivo alla scomparsa del ricercatore friulano.

Per la famiglia di Regeni, come sempre presente alle udienze davanti alla Corte d’Assise di Roma, “all’udienza di oggi è emersa la ragnatela che è stata tessuta intorno a Giulio, anche dalle persone che gli stavano più vicine”, ha riferito l’avvocata Alessandra Ballerini. E ancora: “Il fatto che i testi devono essere ascoltati in modalità protetta, nascosti da un paravento e senza dichiarare le generalità, dimostra che l‘Egitto non è un Paese sicuro“.

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