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Stati Uniti, i parenti delle vittime dell’11 settembre potranno rivolgere domande alla “mente” dell’attacco, detenuto a Guantanamo

Incontrare la “mente” dell’attacco alle Torri gemelle di New York, e poter rivolgergli domande su come e perché fu ideato quel piano. I parenti di coloro che morirono l’11 settembre intravedono questa possibilità. A rimarcarlo è stato il media Usa Today che ha dedicato la prima pagina all’argomento. Forse non tutti i familiari delle 2.977 […]

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Incontrare la “mente” dell’attacco alle Torri gemelle di New York, e poter rivolgergli domande su come e perché fu ideato quel piano. I parenti di coloro che morirono l’11 settembre intravedono questa possibilità. A rimarcarlo è stato il media Usa Today che ha dedicato la prima pagina all’argomento. Forse non tutti i familiari delle 2.977 vittime che persero la vita l’11 settembre 2001 per lo schianto di aerei di linea sulle Twin Towers avranno questa voglia, ma molti di loro hanno in tasca la domanda della vita: “Perchè lo avete fatto? A distanza di così tanto tempo, potete dire che ne è valsa la pena?”.

Tutto ruota attorno all’accordo di patteggiamento che il procuratore ha fatto con Khalid Sheikh Mohammed; quest’ultimo, detenuto a Guantanamo, assieme ad altri due affiliati ad Al QaedaWalid Bin Attash e Mustafa al-Hawasawi – si è dichiarato colpevole di aver ideato la missione suicida che fece conoscere al mondo l’organizzazione guidata da Osama bin Laden. Il Dipartimento della Difesa ha informato i parenti delle vittime, inviando loro una lettera, dove specificano che Mohammed e gli altri due complici, hanno accettato di essere giudicati da una commissione composta da militari e di dichiararsi colpevoli per “evitare la pena di morte come possibile punizione”.

Per gli agenti che hanno indagato sulla strage dell’11 settembre, Khalid Sheikh Mohammed è semplicemente KSM: fu catturato nel 2003 in Pakistan, suo paese natale, e da allora è stato incarcerato a Guantanamo Bay. Gli investigatori ritengono che sia stato lui ad architettare l’attacco, compreso quello al Pentagono. La lettera ai parenti era necessaria, anche perché molti di loro avevano detto di essere contrari ad un patteggiamento e così si erano espressi il presidente Joe Biden e il segretario alla Difesa, Austin. Nella lettera spedita alle famiglie dal Dipartimento della Difesa si specifica che si comprende lo stato d’animo dei parenti ma “questa risoluzione sia la strada migliore per la conclusione e la giustizia in questo caso”. C’è poi la questione del trattamento subito da KSM e dagli altri due gregari a Guantanamo. Secondo un rapporto del 2014, firmato dalla Commissione Intelligence del Senato, la “mente” dell’11 settembre fino a quando era stato nelle mani della Cia, era stato torturato e sottoposto a waterboarding 183 volte.

Nello stesso momento, Mohammed, viene descritto come il modello del “terrorista imprenditore” che già a 16 anni si era legato alla Fratellanza musulmana e si era innamorato del “jihad violento”. Nel 1983, KSM si era trasferito negli Stati Uniti doveva aveva studiato fino a conseguire una laurea in un ateneo del North Carolina. Insomma, un personaggio poliedrico, che oggi le famiglie di chi perse la vita quel giorno in cui gli aerei di linea si schiantarono sui grattacieli, potrebbero incontrare faccia a faccia; o almeno, secondo una disposizione dell’Office of Military Commission, potrebbero inviare una serie di domande su un portale criptato; questi interrogativi sarebbero raccolti dagli avvocati dei detenuti e poi a loro sottoposti.

Gli “ospiti” di Guantanamo hanno già accettato questa formula, impegnandosi a rispondere alle domande entro tre mesi. Questo è un punto non chiaro: i detenuti replicheranno per iscritto o a voce durante le udienze? Resta un punto da chiarire, ma, già il fatto che KSM e i suoi hanno preso l’impegno di rispondere, a molti familiari delle vittime dell’11/9 sembra un fatto importante. Ben 23 anni dopo, chi ha un dolore mai sopito potrà rivolgersi direttamente a chi lo ha causato. C’è anche un altro aspetto: alcuni dei familiari non vogliono andarsene senza avere delle risposte, tanto meno vogliono vedere morire in carcere KSM, prima che lui gli dica ciò che pensava allora e ciò che pensa adesso. Certo, non è detto che “l’imprenditore del terrore” si esprimerà in modo sincero, ma sono in molti a credere che solo con la sua testimonianza la tragedia dell’11 settembre potrà finalmente essere archiviata.