Suicida per protesta. L’attivista e giornalista iraniano Kianoosh Sanjari, più volte arrestato e incarcerato nella Repubblica Islamica, si è tolto la vita a Teheran dopo aver annunciato nelle scorse ore via X che avrebbe compiuto il gesto estremo se quattro detenuti da lui indicati non fossero stati rilasciati. È quanto riferito da Iran International. In […]
Suicida per protesta. L’attivista e giornalista iraniano Kianoosh Sanjari, più volte arrestato e incarcerato nella Repubblica Islamica, si è tolto la vita a Teheran dopo aver annunciato nelle scorse ore via X che avrebbe compiuto il gesto estremo se quattro detenuti da lui indicati non fossero stati rilasciati. È quanto riferito da Iran International. In un ‘ultimatum’ sul popolare social network, l’attivista ha chiesto per l’appunto il rilascio di “Fatemeh Sepehri, Nasrin Shakarami (madre dell’adolescente Nika, uccisa nelle proteste del 2022, ndr), Toomaj Salehi (un rapper, ndr) e Arsham Rezaei”, ovvero quattro prigionieri politici. Con queste parole: “Se entro le 19 di oggi – scriveva – non verrà annunciato il loro rilascio sul sito web della magistratura, metterò fine alla mia vita in segno di protesta contro la dittatura di Khamenei e i suoi complici”. Passata l’ora indicata nel post, Sanjari ha condiviso un’immagine dall’alto di un ponte di Teheran, con l’indicazione “sono le 19, Ponte Hafez”. Poi ancora in un altro e ultimo messaggio si legge che “nessuno dovrebbe essere incarcerato per aver espresso le proprie opinioni“. “La protesta è un diritto di ogni cittadino iraniano – prosegue il post – La mia vita finirà dopo questo tweet ma non dimentichiamo che moriamo per amore della vita, non della morte. Mi auguro che un giorno gli iraniani si sveglino e superino la schiavitù. Viva l’Iran”. Ore dopo quel post con la foto dall’alto del ponte, prosegue Iran International, la morte dell’attivista è stata confermata da fonti in Iran, anche dall’attivista Hossein Ronaghi.
Sanjari era un ex dipendente del servizio persiano di Voice of America a Washington D.C. e di numerose organizzazioni per i diritti umani: era stato arrestato domenica e poi rilasciato. Il giornalista 42enne è stato incarcerato più volte in Iran e posto in isolamento. Nel 2008, dopo aver scontato due anni nella prigione di Evin, è fuggito dal Paese per poi risiedere negli Stati Uniti. Tornato in Iran nel 2016 per prendersi cura della madre anziana, è stato nuovamente arrestato e condannato a 11 anni di prigione per accuse relative alla sicurezza. Sanjari ha respinto la richiesta di cooperazione dell’intelligence da parte dei funzionari della sicurezza. All’inizio del 2019, dopo aver scontato tre anni di pena, Sanjari si è ammalato e il medico della prigione decise che gli doveva essere concesso un congedo medico. Invece, è stato rapidamente trasferito all’ospedale psichiatrico di Aminabad. Successivamente ha riferito di essere stato ricoverato in un altro ospedale altre due volte e di aver ricevuto scosse elettriche e iniezioni sospette, a seguito delle quali si è sentito privo di sensi e con la mascella bloccata.