Toccata e fuga. E l’intervento di Giorgia Meloni alla 29° Conferenza Onu sui cambiamenti climatici in corso a Baku, in Azerbaigian, si trasforma in uno spot a gas e in un’occasione per parlare del ruolo dell’Italia nella fusione nucleare. Che, però, non potrà servire a raggiungere gli obiettivi climatici dei prossimi due decenni. Attraverso le parole della premier, l’Italia rivolge a tutti i Paesi l’invito a condividere la responsabilità per il nuovo obiettivo finanziario, ma non annuncia nuovi impegni finanziari da parte di Roma.
“Non c’è un’alternativa ai combustibili fossili” – Giorgia Meloni parla di decarbonizzazione, sottolineando che “serve un approccio non ideologico ma pragmatico” per “proteggere la natura avendo al centro l’uomo”. Ergo: “Al momento non c’è un’unica alternativa ai combustibili fossili, dobbiamo avere una visione realistica”. Una visione che, nel frattempo, porta l’Italia a importare il 57 per cento del petrolio e il 20 per cento del gas dell’Azerbaigian. Per Meloni occorre utilizzare “tutte le energie a nostra disposizione, non solo le rinnovabili, anche i bio-carburanti e la fusione nucleare”. E si sofferma proprio su questa. Secondo la premier l’energia dell’atomo “potrebbe fare la differenza” e parla del ruolo dell’Italia nella ricerca e nella sperimentazione sulla fusione nucleare, ricordando il Paese ha organizzato il primo incontro del World Fusion Energy Group, promosso dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica” E spiega che il governo ha intenzione di rilanciare questa tecnologia. Vero che queste sono le intenzioni, solo che i tempi di realizzazione della fusione – anche senza intoppi – sarebbero comunque incompatibili con quelli necessari a una transizione che faccia rimanere il pianeta sotto 1,5°C o 2°C di aumento della temperatura rispetto ai livelli preindustriali. “La cosa forse più grave del suo intervento è il sostegno al gas, che contraddice gli impegni climatici di Dubai, fa un regalo all’industria fossile, espone consumatori e imprese ad alti costi dell’energia e mina gli obiettivi di sviluppo sostenibile” ha scritto in un commento da Baku Luca Bergamaschi del think tank italiano sul clima Ecco. Critico anche Nicola Armaroli, direttore di ricerca al CNR e co-fondatore di Energia per l’Italia: “Evocare una ‘svolta storica’ dell’energia da fusione nucleare come ha fatto la Presidente del Consiglio Meloni questa mattina alla COP29 di Baku significa offrire false speranze, proprio in un momento in cui, come dice la stessa premier, serve un “approccio pragmatico”.
Il discorso di Giorgia Meloni alla Cop29 sulla decarbonizzazione – Nel discorso della premier non manca un riferimento alle future generazioni. “Sono una madre e come madre niente mi dà più soddisfazione di quando lavoro per politiche che consentiranno a mia figlia e alla sua generazione di vivere in un posto migliore” ha dichiarato. Per la premier è prioritario che “la decarbonizzazione tenga conto della sostenibilità dei nostri sistemi produttivi e sociali. Un approccio troppo ideologico e poco pragmatico su questo tema – ha detto – rischia di portarci fuori dalla strada del successo”. E ha parlato di “neutralità tecnologica”, definendola “l’approccio giusto, poiché attualmente non esiste un’unica alternativa alla fornitura di combustibili fossili. Dobbiamo avere una prospettiva globale realistica”. E ha ricordato che la popolazione mondiale raggiungerà gli 8,5 miliardi entro il 2030 e il Pil globale raddoppierà nel prossimo decennio. “Ciò aumenterà il consumo di energia, considerando anche la crescente domanda di sviluppo dell’intelligenza artificiale. Abbiamo bisogno di un mix energetico equilibrato per favorire il processo di transizione. Dobbiamo utilizzare tutte le tecnologie disponibili” ha spiegato Meloni.
Meloni, l’Italia e la fusione nucleare – E quindi anche l’energia dell’atomo. A Baku la Meloni si è soffermata sulla “fusione nucleare” che “potrebbe fare la differenza”, forse consapevole che parlare di fissione, di qualsiasi generazione, significa parlare (oppure omettere) anche il discorso delle scorie, l’annoso problema del deposito nazionale che l’Italia sta facendo fatica ad affrontare, nonché le ultime proposte che direttamente o indirettamente il governo ha partorito negli ultimi mesi. Nel suo intervento, Meloni ha affermato che l’Italia è “all’avanguardia sulla fusione nucleare e ha organizzato il primo incontro del World Fusion Energy Group, promosso dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica”. Poi ha aggiunto: “Intendiamo rilanciare questa tecnologia che potrebbe cambiare le carte in tavola, in quanto può trasformare l’energia da arma geopolitica a risorsa ampiamente accessibile”. Un primo problema, però, riguarda i tempi e i costi di realizzazione. Di recente è stata rinviata al 2039 la data per la produzione di reazioni a fusione con ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor), il reattore sperimentale a fusione nucleare più grande al mondo che verrà realizzato a Cadarache (in Francia) e di cui l’Italia è tra i partner principali. Parliamo di un reattore sperimentale e siamo fuori tempo massimo per gli obiettivi europei del decennio in corso (e anche di quello successivo), vent’anni cruciali per restare sotto le soglie di 1,5°C e 2°C.
Il regalo alle fossili e le relazioni con l’Azerbaigian – Anche “gas, biocarburanti, idrogeno e cattura e stoccaggio del carbonio” hanno un ruolo. Sul gas (e sul petrolio), la cui industria – tra le altre cose – ha supportato la vittoria di Trump alle elezioni Usa, parlano i fatti. L’Azerbaigian è il secondo fornitore di gas dell’Italia dopo l’Algeria, rappresentando circa il 16% dell’import totale di gas. La volontà di ampliare la cooperazione energetica tra i due Paesi passa attraverso l’intenzione di raddoppiare il gasdotto Trans Adriatic Pipeline, che dovrebbe passare da una capacità di 10 a 20 miliardi di metri cubi l’anno. Nonostante la rilevanza che Baku ha assunto nel processo di diversificazione delle forniture di gas dalla Russia, il nodo resta l’effettiva convenienza dell’incremento della capacità di trasporto del Tap, dato che “l’infrastruttura esistente è già in grado di coprire i volumi di consumo richiesti” nello scenario descritto nel report di Ecco ‘Lo stato del gas’, costruito in base a quella che dovrebbe essere la domanda prevista dallo stesso Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec) “e addirittura assicurare un volume di export dell’Italia di oltre 7 miliardi di metri cubi l’anno”.
I finanziamenti dell’Italia all’Africa – Meloni ha poi parlato di condivisione delle responsabilità per superare le divisioni tra le nazioni sviluppate e le economie emergenti e in via di sviluppo. “L’Italia intende continuare a fare la propria parte. Stiamo già assegnando all’Africa – ha spiegato – gran parte del budget di oltre quattro miliardi di euro del nostro Fondo per il clima, e continueremo a sostenere iniziative come il Fondo verde per il clima e il Fondo per le perdite e i danni (per il quale lo scorso anno la stessa Meloni annunciò 100 milioni di euro), nonché a continuare promuovere il coinvolgimento delle Banche Multilaterali di Sviluppo”. A riguardo, proprio ieri alla Cop è stato stabilito che il Fondo di aiuti perdite e danni causati dai cambiamenti climatici (Loss and damage) sarà operativo dal 2025. Nel frattempo, si sono arenati i negoziati che riguardano l’NCQG, ossia il nuovo obiettivo finanziario collettivo. Emergono le prime posizioni negoziali. Secondo il gruppo dei G77 (che comprende una lunga lista di paesi in via di sviluppo, e sono più di 77) 1,3 ‘trilioni’ all’anno potrebbe essere una soglia accettabile.