Bisognerà attendere venerdì 15 novembre per conoscere la decisione del gup di Caltanissetta, David Salvucci, sui poliziotti che rischiano un processo con l’accusa di aver depistato le indagini sulla morte del giudice Paolo Borsellino. Si tratta di Maurizio Zerilli, all’epoca capo della “squadra B” del gruppo Falcone-Borsellino che indagava sulla strage di via D’Amelio, e dei colleghi Angelo Tedesco, Giuseppe Di Gangi e Vincenzo Maniscaldi.
Secondo la procura di Caltanissetta, i poliziotti avrebbero coperto i colleghi Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, prescritti in secondo grado dall’accusa di calunnia aggravata per aver favorito Cosa nostra. Per l’accusa Zerilli e gli altri avrebbero fornito dichiarazioni “false e reticenti” in aula, correlate da centinaia di “non ricordo”, nel corso dei processi dove sono stati chiamati a testimoniare. Al centro della vicenda c’è l’indagine sul gruppo Falcone-Borsellino guidato da Arnaldo La Barbera (deceduto nel 2002), che – secondo l’accusa – ha indottrinato il finto pentito Vincenzo Scarantino ad autoaccusarsi della strage, depistando le indagini. Le bugie di Scarantino sarebbero state smentite solo molti anni dopo, grazie alla collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza.
False dichiarazioni e reticenze – “Per comprendere a pieno l’atteggiamento di assoluta malafede dei testimoni che hanno fatto parte del Gruppo Falcone e Borsellino, nel processo Borsellino quater e sul depistaggio, sarebbe opportuna una analisi completa della evoluzione dei processi che si sono celebrati. Noi abbiamo un prima e dopo, un avanti Spatuzza e dopo Spatuzza. Abbiamo un processo Borsellino uno, bis e ter prima di Spatuzza e dopo Spatuzza abbiamo il processo Borsellino quater e quello sul depistaggio. Se andiamo ad esaminare le dichiarazioni dei poliziotti nei primi tre tronconi, quando ancora non si era il smantellato il castello di menzogne, abbiamo dei testimoni tranquilli e sereni che rendono dichiarazioni che dopo scopriremo essere totalmente false”, ha detto il sostituto procuratore Maurizio Bonaccorso durante l’udienza preliminare, chiedendo il processo per i quattro poliziotti. “Ci sono tanti modi per umiliare i superstiti, con il vostro atteggiamento avete umiliato la memoria dei vostri colleghi. Che Scarantino fosse antropologicamente inadeguato ad avere un ruolo nella strage di via D’Amelio era chiaro”, ha aggiunto l’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli del giudice Borsellino.
“Scarantino unico depistatore” – La difesa dei poliziotti – rappresentata dagli avvocati Giuseppe Panepinto, Giuseppe Seminara e Maria Giambra – ha chiesto invece il non luogo a procedere “perché il fatto non sussiste”. I legali hanno chiesto in via subordinata “alla riqualificazione della condotta” in falsa testimonianza. L’unico a parlare in aula tra gli imputati è stato il poliziotto Vincenzo Maniscaldi che si è definito la “memoria storica del gruppo” per aver letto gli atti “tante volte”, confermando davanti al gup Santucci di “aver detto la verità” nei precedenti processi. Maniscaldi ha riconosciuto la sua firma nei “brogliacci relativi alle intercettazioni fatte durante la permanenza di Vincenzo Scarantino a San Bartolomeo a Mare”. “Normalmente i telefoni vengono messi sotto controllo per attività d’indagine. Le intercettazioni sul telefono di San Bartolomeo a Mare non riguardavano un’attività di indagine. Quel telefono era stato messo lì per capire se Vincenzo Scarantino venisse convinto dai parenti a ritrattare, ma non c’era una vera e propria attività di indagine nel senso proprio del termine”, ha detto Maniscaldi. “Se depistaggio c’è stato è stato quello di Vincenzo Scarantino”, ha aggiunto l’avvocato Panepinto, legale di Maniscaldi. “Zerilli e Tedesco erano semplici agenti che rivestivano dei ruoli tali da non potere essere non consapevoli ma in alcun modo partecipi di finalità di questa portata. Noi sappiamo quello che succedeva tra Arnaldo La Barbera e Vincenzo Scarantino?”, ha detto l’avvocata Giambra, a difesa degli imputati.