Tempi duri, anche per il lusso. Cosa insolita, poiché il comparto abitualmente supera indenne le fasi di crisi, visto che la clientela di riferimento raramente le patisce. Accade nel mondo, accade in Italia. Nei primi sei mesi dell’anno l’export italiano è calato di oltre il 5%, con una perdita di quasi 2 miliardi di euro. Uno studio realizzato dall’associazione Altagamma e dalla società di consulenza Bain, ha calcolato che la base globale dei consumatori di prodotti di lusso è diminuita, in due anni, di 50 milioni di persone. Ne rimangono 350 milioni.

Le vendite mondiali caleranno quest’anno del 2%, configurando una delle peggiori annate di sempre, per un mercato che vale circa 360 miliardi di euro. Pesa soprattutto la Cina, per cui è stimato un calo delle vendite del 2o%. “È la prima volta che il settore dei beni di lusso personali registra un calo dalla crisi del 2008-2009, fatta eccezione per la pandemia”, ha detto Federica Levato, partner di Bain. Le imminenti festività natalizie non promettono particolari sussulti: la tendenza dei marchi a posizionare i propri prodotti in una fascia di prezzo più alta, unita alla minore fiducia dei consumatori dovuta a guerre, difficoltà economiche in Cina ed elezioni in tutto il mondo, ha portato molti clienti, soprattutto i più giovani, a rinunciare agli acquisti.

A ulteriore dimostrazione del fatto che i prezzi più elevati stanno frenando i consumatori, Bain ha affermato che il canale outlet sta ottenendo risultati migliori. Una diagnosi con la quale concordano le parole di Marco Bizzarri, ex amministratore delegato di Gucci e co-fondatore di Forel: “È più un problema di offerta che di domanda, nel senso che l’offerta è talmente “flat” (piatta, ndr) da parte dei brand che la gente non compra e poi hanno aumentato troppo i prezzi. Per questo, ha aggiunto, si sono aperti degli spazi di mercato per investire perché ci sono dei buchi di mercato e se uno ha una narrativa e si posiziona bene secondo me ci sono degli spazi perfetti”.

Le prospettive per il 2025, in generale, non paiono però particolarmente esaltanti. Le stime sono per un incremento delle vendite tra lo zero e il 4%, con una Cina in ripresa solo nella seconda parte dell’anno. Tante le incognite. La vittoria di Trump ha eliminato un’incertezza ma ora bisognerà fare i conti con le politiche commerciali annunciate dal prossimo presidente americano. Un’ulteriore discesa dei tassi potrebbe aiutare ma anche questa non può essere data per scontata.

In questo quadro martedì 2mila lavoratori del settore sono scesi in piazza per chiedere aiuto al governo, in vista di un calo dei ricavi del 3% a fine anno. Secondo la Cgil quella in atto è una crisi strutturale e non congiunturale. Più che comprensibile che i lavoratori, preoccupati per i posti di lavoro, chiedano un sostegno. Sul fatto che debba essere sempre lo stato (cioè i contribuenti) ad aiutare colossi che negli anni passati hanno fatto utili miliardari (spostandone larga fetta in paradisi fiscali), guidati da alcuni tra gli uomini più ricchi del mondo, si potrebbe discutere. Profitti privati e perdite socializzate, come sempre.

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