Una valanga di oltre trentamila ricorsi l’anno destinati a piombare in pochi mesi sulle Corti d’Appello, aggravando i carichi di lavoro di quasi il 40% e mettendo a rischio i target Pnrr. È il potenziale impatto degli ultimi decreti in materia di immigrazione, il decreto Flussi dell’11 ottobre e il decreto Paesi sicuri del 23 ottobre, nei quali il governo, per contrastare le decisioni sgradite arrivate dai giudici di primo grado, ha reintrodotto il ricorso in Appello contro i provvedimenti dei Tribunali in materia di asilo, abolito nel 2017 (finora le decisioni erano impugnabili soltanto in Cassazione). Una scelta che rischia di avere un pesantissimo effetto indesiderato, stimato dall’Ufficio statistico del Consiglio superiore della magistratura in un apposito studio, citato in due delibere approvate nel corso dell’ultimo plenum. Secondo il Csm, i decreti del governo sono destinati a produrre una zavorra di fascicoli in grado di compromettere il raggiungimento degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che impongono di abbattere del 90%, entro la metà del 2026, il numero di cause civili pendenti alla fine del 2022. Insomma: per provare a ottenere qualche decisione favorevole in più, il governo rischia di mancare perdere miliardi di finanziamenti europei.
La prima delibera ad affrontare la questione è quella sulla determinazione dei carichi esigibili, cioè la quantità massima di lavoro richiedibile a un singolo magistrato a parità di funzioni. Nel testo, i due decreti del governo sono presentati come un “elemento di novità che inciderà notevolmente sui carichi di lavoro complessivi delle Corti d’Appello”, avendo “significativamente ampliato” le loro competenze. Il Csm cita quindi una “prima analisi” dell’Ufficio statistico sull’impatto delle nuove norme, condotta “prendendo le mosse dai procedimenti iscritti in primo grado” in materia di immigrazione nel periodo 1° luglio 2023–30 giugno 2024, che ammontano a 80.556. Sulla base di questo numero e dei tassi di impugnazione, si legge, “è possibile stimare in oltre trentamila i procedimenti che presumibilmente verrebbero impugnati; ovvero tra 30.611 (38% degli iscritti in primo grado) e 34.639 (43% degli iscritti in primo grado)”. Questa montagna di nuovi processi andrà ad aggiungersi in pochi mesi all’arretrato delle Corti d’Appello e finirà per costituire oltre un terzo del loro lavoro, da trattare peraltro in via prioritaria (la decisione va presa entro venti giorni). I ricorsi stimati tra il luglio 2023 e il giugno 2024, infatti, “rappresenterebbero il 33-37% dell’ammontare complessivo” dei procedimenti iscritti nelle Corti nello stesso periodo, pari a 92.514. Date queste premesse, la conclusione del Consiglio è inevitabile: “L’impatto reale di tale riforma sui carichi esigibili sarà oggetto di attenta valutazione nella prossima delibera annuale, ma stando ai dati riportati, rischia da subito di compromettere gli obiettivi Pnrr per le Corti d’Appello”.
Lo stesso avvertimento, peraltro, era stato già lanciato all’unanimità dai 26 presidenti delle Corti d’Appello del Paese all’indomani dell’approvazione del decreto Flussi, chiedendo un ripensamento al ministro della Giustizia Carlo Nordio: l’intervento, scrivevano, “renderebbe assolutamente ingestibili i settori civili di tutte le Corti, impegnate, con ridotti organici di magistrati e di personale amministrativo, nello sforzo di raggiungere gli obiettivi del Pnrr per la giustizia, in particolare quello della riduzione dei tempi processuali”. Il “ripristino del reclamo al giudice di secondo grado”, si leggeva nella lettera, “sconvolge un assetto ormai consolidato che ha assicurato un’adeguata tutela dei diritti e, al tempo stesso, la sostenibilità dell’intervento giudiziario”. Per tutta risposta però il governo ha rilanciato col decreto Paesi sicuri, introducendo il reclamo persino contro le sospensioni dei provvedimenti di allontanamento disposte dal Tribunale in sede di appello contro le decisioni della Commissione territoriale (l’autorità amministrativa competente in primo grado). Le nuove norme saranno operative trascorsi trenta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto Flussi, attualmente all’esame del Parlamento.
L’impatto delle nuove leggi è definito “assorbente” e “dirimente” anche nel parere sullo schema di decreto legislativo sulle piante organiche dei Tribunali per minori, persone e famiglia, il nuovo organo specializzato istituito dalla riforma Cartabia del processo civile, destinato a entrare in funzione a ottobre 2025 dopo che il ministero della Giustizia ha fatto slittare di un anno il termine originario. Il governo, infatti, vorrebbe assegnare a questi uffici una grande quantità di personale togliendolo proprio alle Corti d’Appello, che in teoria nei prossimi anni dovrebbero “respirare” grazie allo spostamento al nuovo organo della competenza su molte materie di diritto civile. I numeri presi in esame dal ministero, sottolinea però il Consiglio, “risultano oggi stravolti dall’entrata in vigore” dei nuovi decreti, che produrrà gli effetti devastanti descritti dall’Ufficio statistico. “Tali dati”, si legge nella delibera, “impongono di ritenere superata l’analisi ministeriale posta alla base dello schema di decreto in oggetto, tanto in termini di contingente complessivo di unità da destinare” al Tribunale per le persone, “quanto in termini di distribuzione delle risorse tra le diverse sedi, con la conseguente esigenza di un nuovo studio che tenga conto degli impattanti effetti della sopravvenuta normativa primaria”. Pertanto, è la conclusione, si rende “auspicabile e indispensabile un ulteriore differimento dell’entrata in vigore” del nuovo organo giurisdizionale. Un altro grande successo del governo, e tutto per qualche espulsione (forse) in più.