Soprattutto a sinistra (?) si levano alti lai per la mancata partecipazione degli elettori ad ogni tornata di voto. Si guardi alle recentissime elezioni regionali liguri, in cui l’astensionismo ha toccato il 55%: meno della metà della popolazione si riconosce nello stanco rito, come sottolineava in tempi non sospetti il grande Giorgio Gaber (“È proprio vero che fa bene un po’ di partecipazione con cura piego le due schede e guardo ancora la matita così perfetta è temperata…io quasi quasi mela porto via. Democrazia!”). Gli alti lai di cui sopra vengono dalla cosiddetta “sinistra” che ritiene – probabilmente a ragione – che sia questa fetta di elettorato che non va più alle urne.
Al riguardo i sociologi in questi anni hanno elaborato svariate teorie per comprendere il fenomeno. Una è quella della percezione della sostanziale inutilità del rito, posto che tu elettore voti quel candidato con un certo programma e poi te lo ritrovi da eletto a fare tutt’altro, o addirittura a cambiare casacca. Come accadde sempre in Liguria per la sindaca piddina Monica Giuliano transitata nel partito di Toti, lei, favorevole a quella sciagura del rigassificatore tanto caro all’allora presidente di regione. Ma del resto – e qui faccio un discorso da uomo della strada, che non è detto che sia superficiale o inveritiero – sono da fustigare moralmente gli astensionisti?
Guardiamo una notizia giusto di questi giorni riportata da quella bella firma di questo quotidiano, Gianni Barbacetto, che ha seguito con dovizia di particolari il cosiddetto “rito meneghino dell’edilizia”, che ha avuto successo giusto con un sindaco di sinistra come Giuseppe Sala. Sul quotidiano del giorno 7 novembre, compare un suo ultimo aggiornamento sotto il titolo “Il Salva-città. Un emendamento di FdI, chiesto dal sindaco Sala, ferma i pm e dà carta bianca per il futuro”. Cos’è questo rito meneghino dell’edilizia? In poche parole la concessione a costruire data dal Comune a palazzinari di un certo spessore (non certo artigiani edili) di tirare su palazzi e talvolta grattacieli al posto di bassi fabbricati, applicando la normativa relativa alla ristrutturazione. Poi c’è anche dell’altro, ma per riassumere al massimo questo è il dato più clamoroso che emerge dall’indagine che negli ultimi anni sta svolgendo la Procura della Repubblica di Milano.
E come si difendono Sala & C.? Affermando che le norme in materia non sono chiare. A parte il fatto che non si comprende perché solo i politici e i dirigenti milanesi, in tutta Italia, siano così tonti da fraintendere le norme in materia, favorendo in tal modo la grande speculazione edilizia, a parte questo, resta il fatto che invece è evidente che le norme sono chiarissime e loro le hanno violate, prova ne sia il fatto che Sala ha chiesto – lui di sinistra – al governo di destra di far approvare una sostanziale sanatoria, ed è giusto di questo che tratta l’articolo di Barbacetto. Così la cittadinanza milanese si ritroverà cornuta e mazziata, con dei palazzoni che non dovevano sorgere e con degli oneri di urbanizzazione ridicoli, che non consentono di realizzare quelle opere di pubblica utilità che accompagnano ogni nuova costruzione.
Ma sempre lo stesso giorno e sempre sullo stesso quotidiano compare un’altra notizia a coronamento di quella presedente: “Una residenza universitaria (già abitata) e due palazzi in costruzione, il cosiddetto progetto Scalo House, sono stati sequestrati a Milano nell’ambito di una nuova inchiesta sulla gestione urbanistica della città”. Nel provvedimento si parla di “sistema di illegalità manipolatoria e di falsificazione ideologica dei titoli edilizi e alterazione del procedimento di cui l’ultimo caso è solo uno dei fulgidi esempi… non accenna ad arrestarsi e sembra anzi avere subito un’accelerazione ed essere diventato ancora più pervasivo”. Reati contestati: abusi edilizi, lottizzazione abusiva e falso. Tra gli indagati quel Paolo Mazzoleni, che, già componente della Commissione Paesaggio a Milano, ritroviamo promosso assessore all’urbanistica nella giunta comunale di Torino. Di sinistra, beninteso.
Ma riguardo alla gestione dell’edilizia a Milano non può passare inosservata l’evoluzione che sta avendo la vicenda dello stadio Meazza. E qui ricordiamo che la cosiddetta “legge stadi” che consente alle società sportive di avere uno stadio in proprietà, ma, non solo, di costruirci attorno tutta una serie di opere forse ancor più lucrose (Juventus docet) è di un governo di sinistra, quello di Enrico Letta. A Milano dunque, Milan e Inter erano d’accordo per abbattere lo stadio Meazza, creando una relativamente piccola bomboniera con un po’ di opere attorno, leggasi qualche palazzone, qualche centro commerciale.
Qui, grazie a un bellicoso comitato di cittadini e anche alla Soprintendenza, fino ad oggi non se ne è fatto nulla. Ma ecco, sorpresa di questi giorni: compare un nuovo attore sulla scena gradito al sindaco, quella Webuild che ha praticamente il monopolio delle opere pubbliche in Italia, la quale Webuild si offre di ricostruire lo stadio in maniera soft e in tempi certi e relativamente brevi. È quella Webuild che realizzerà la imponente diga foranea di Genova, tanto cara a Toti, ed è la stessa Webuild che plaudiva alle nuove inutili linee di alta velocità ferroviaria nel sud Italia, benedette dal governo Draghi, in cui tutti, sinistra, destra, grillini (ma, domanda: si chiamano ancora così?) si ritrovavano.
Non voglio tediarvi oltre, ma torno agli astenuti: sono davvero da condannare perché rinunciano al diritto-dovere?