Diritti

“Moussa aveva un coltello in mano? Perché non ci fanno vedere i video?”: l’appello dei legali del giovane ucciso a Verona da un agente

“Dicono che mio fratello Moussa avesse un coltello in mano, ma se ci sono delle prove, che vengano mostrate, perché io conoscendo Moussa come una persona non cattiva, non ci credo. Dicono che ci sia un video in cui si vede quello che è successo, ma perché non è stato mostrato all’avvocato di mio fratello? […]

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“Dicono che mio fratello Moussa avesse un coltello in mano, ma se ci sono delle prove, che vengano mostrate, perché io conoscendo Moussa come una persona non cattiva, non ci credo. Dicono che ci sia un video in cui si vede quello che è successo, ma perché non è stato mostrato all’avvocato di mio fratello? Perché non ci fanno vedere tutti i video?”. Tre settimane dopo l’uccisione del ventiseienne Moussa Diarra da parte di un agente della Polfer nella stazione Porta Nuova di Verona, Djemagan Diarra ha partecipato a una conferenza stampa assieme ai legali Paola Malavolta e Francesca Campostrini. L’iniziativa, promossa dal Laboratorio Paratodos che si occupa di accoglienza degli immigrati che non trovano una casa a Verona, spinge per aprire una finestra sull’indagine per eccesso colposo di legittima difesa avviata dalla Procura scaligera.

“Pare che Moussa fosse in forte stato di disagio psichico al momento della sua uccisione, avvenuta intorno alle 7 del mattino, dopo che per ore aveva vagato tra la stazione e le aree circostanti, incapace di trovare una via di casa, e che abbia sfogato la propria frustrazione e rabbia sulla biglietteria e su una tabaccheria. Nonostante i ripetuti interventi della polizia locale nessuno ha chiamato un’ambulanza. Di fronte a un disperato bisogno di cura, la risposta è stata un colpo di pistola”. Questo è uno dei passaggi più polemici contenuti in un comunicato diffuso dal comitato Verità e Giustizia per Moussa.

“Ci mostrino le immagini”
Gli avvocati di parte civile hanno aggiunto: “Non abbiamo ancora visto le immagini delle telecamere della stazione e ci pare ingiusto che siano in mano alla Questura, dove l’agente che ha sparato aveva prestato servizio. Noi finora non le abbiamo chieste, perché abbiamo rispettato il segreto istruttorio, ma, visto che quello che avrebbero ripreso è finito alla stampa, ci chiediamo se esista solo per noi, quel segreto”. I legali fissano tre punti fermi: “Di sicuro sappiamo che sono stati sparati tre colpi di pistola: uno al cuore, con il proiettile che è rimasto nel corpo, un altro ha probabilmente sfiorato Moussa e ha centrato una vetrata a un’altezza di un metro e mezzo, un terzo colpo è finito in aria. Ma quelle immagini non sono state mostrate neppure all’anatomopatologo che ha effettuato l’autopsia, né al nostro perito balistico”.

Giorgio Brasola, del Paratodos, ha aggiunto: “Pochi giorni dopo la morte di Moussa, a Cittadella, in provincia di Padova, un uomo di 34 anni in stato di alterazione, armato di un coltello di 30 cm, ha fatto ingresso nel Pronto Soccorso ferendo un carabiniere, un medico e un infermiere. Tutte le persone coinvolte hanno collaborato affinché l’uomo fosse neutralizzato senza riportare danni. Non è stato fermato con tre colpi di pistola. Forse perché era un italiano bianco?”.

I due comunicati
La ricostruzione ufficiale di ciò che è accaduto domenica 20 ottobre è per ora affidata a due comunicati emessi il 20 e il 21 ottobre. Il primo era un comunicato congiunto di Procura e Questura: “L’uomo è morto dopo aver aggredito un poliziotto… l’agente ha risposto all’aggressore armato di coltello… il ragazzo straniero durante la notte è stato autore di una serie di danneggiamenti e violenze, in particolare le telecamere cittadine lo hanno ripreso poche ore prima della tragedia mentre, sempre armato di coltello, aggredisce degli operatori della Polizia Locale… Tornato nella stazione, ha ripreso le sue azioni violente arrivando a scagliarsi anche contro un operatore della Polizia ferroviaria che, aggredito da posizione ravvicinata, ha esploso tre colpi in rapida successione…”.

Un secondo comunicato (21 ottobre) portava la firma del procuratore Raffaele Tito e dava indicazioni un po’ diverse: “L’episodio non appare collegato ad attività criminose poste in essere dal giovane… appare invece il frutto di un forte disagio sociale e/o psichico nel quale egli era caduto… Questo ufficio ritiene che l’episodio si inserisca certamente in un contesto di legittima difesa posta in essere dall’appartenente alla polizia di Stato, tuttavia le indagini sono ora orientate a valutare se vi sia stata o meno una condotta colposa”.

Una segnalazione al Csm
I due comunicati hanno indotto un gruppo di cittadini (l’autenticità delle firme è garantita dal medico epidemiologo Paolo Ricci) ad inviare una segnalazione al Consiglio Superiore della Magistratura. “Non comprendiamo la ragione per cui Procura della Repubblica e Questura abbiano avvertito l’esigenza di condividere un comunicato stampa sùbito a ridosso di un simile evento. Tale scelta ci è parsa non opportuna, oltre che irrituale, in considerazione della distinzione di ruoli istituzionali non sovrapponibili”. Sottolineano poi come il secondo comunicato contenga “una ricostruzione dei fatti con un taglio narrativo piuttosto differente rispetto a quanto espresso nel primo comunicato stampa congiunto” e manifestano perplessità sul fatto che le indagini siano state conferite “a colleghi dell’indagato appartenenti alla Questura sul cui operato il comunicato del Procuratore capo esprime a priori una ‘incondizionata fiducia’”.