Cultura

Scandali finiti, ora la Cultura può pensare ai musei? Dal parco del Colosseo al Palazzo Reale di Napoli: quasi un terzo è senza direttore

Cinquant’anni fa l’Italia, uno dei paesi più ricchi di testimonianze del proprio passato e della propria civiltà, si dotava finalmente di un ministero destinato alla tutela, alla conservazione e alla gestione di questo immenso patrimonio. L’idea era ottima, di per sé risolutiva, ma non aveva fatto i conti con la capacità della politica di non risolvere affatto le questioni e di creare strati di incertezza. Negli ultimi due mesi ne abbiamo avuto la riprova. In successione – ed è cronaca – si è passati dalla questione Sangiuliano-Boccia (con dimissioni del ministro) al siluramento del capo di gabinetto Francesco Gilioli fino alla sostituzione con Francesco Spano, a sua volta rimasto in carica per poche ore. Avvenimenti, che si sono succeduti con una rapidità inconsueta per le nostre latitudini, ovviamente hanno alimentato caos e incertezza, sulla cui fiamma ha soffiato una puntata particolarmente seguita di Report, che col governo in carica sembra aver “trovato” in ambito culturale – materia spesso ostica per l’informazione – un buon terreno fertile di notizie: tra le altre quella della mostra dedicata al futurismo e le pressioni sui curatori. Ma non finisce qui.

Il ministro Alessandro Giuli ha sul tavolo un dossier aperto da mesi, legato alle nomine dei direttori manager. A conti fatti, infatti, attualmente quasi un terzo dei musei di prima e seconda fascia – 17 su 60 – si trova senza dirigente effettivo: sono guidati ad interim da altri direttori che devono dividersi, con grande sacrificio, tra più sedi museali, talvolta neanche vicinissime. Quando si è allungata la coda dei musei in attesa di avere una guida titolare? In gran parte durante la permanenza al ministero di Gennaro Sangiuliano: il mandato dei direttori è scaduto e non è mai stato rinnovato e col passare dei mesi la questione è rimasta sommersa dalle carte di altre faccende ritenute più urgenti per circa due anni. Eppure per le nomine di solito sono sufficienti 5 o 6 settimane che vanno dal bando alla selezione definitiva.

Ora tocca a Giuli, il quale rischia di complicarsi la vita ulteriormente. È di qualche giorno fa, infatti, la notizia che a quattro direttori di musei di prima e seconda fascia – Stéphane Verger del Museo Nazionale Romano, Mario Epifani di Palazzo Reale di Napoli, Annamaria Mauro dei Musei nazionali di Matera e Maria Luisa Pacelli della Pinacoteca nazionale di Bologna – non è stato rinnovato l’incarico per altri quattro anni, un’opzione prevista (ma non obbligatoria) nella riforma Franceschini. Il rinnovo non è automatico, ma soggetto a valutazioni, evidentemente anche di tipo politico (ed è legittimo). E ci risiamo. All’indomani dell’insediamento il ministro ha detto che se ne sarebbe riparlato ad anno nuovo. Col passare dei giorni ha assicurato che i bandi li farà presto.

Oltre a questi quattro nuovi dirigenti da trovare, Giuli dovrà bandire il concorso internazionale per i direttori dei Musei Reali di Torino, la Galleria dell’Accademia di Firenze e Musei del Bargello, il Parco archeologico del Colosseo, il Museo Nazionale Romano e il Museo archeologico nazionale di Napoli, tutti istituti di prima fascia, ma la cui maggiore importanza strategica non ha impedito che rimanessero senza dirigente addirittura per un anno, come il Museo archeologico napoletano, il cui dirigente, Paolo Giulierini, è decaduto il 14 novembre del 2023.

A questi si sommano anche i nuovi direttori da trovare per una serie di musei di seconda fascia – come il Complesso monumentale della Pilotta, i Musei nazionali di Ferrara, i Musei nazionali di Lucca, le Ville monumentali della Tuscia, il Palazzo Reale di Napoli, i Musei nazionali del Vomero, i Musei e i parchi archeologici di Capri, il Castello Svevo di Bari, i Musei nazionali di Matera, i Musei nazionali di Bologna (comprendenti anche la Pinacoteca), il Pantheon e Castel Sant’Angelo.

Si tratta di un caos notevole che, evidentemente, la politica non riesce a risolvere in tempo utile per far funzionare i musei dotati di autonomia a pieno regime, i quali nel frattempo rimangono a corto di opportunità di crescita e di studio, di progettualità a lunga scadenza e di rapporti col mondo esterno. “Di norma l’incarico ad interim ha due caratteristiche. Una durata minima e il consentire il proseguimento delle sole attività ordinarie (es. apertura del museo, approvazione del bilancio ecc). Questa condizione di norma prevede comunque la presenza costante del dirigente” spiega proprio Giulierini, ex direttore del Museo Archeologico partenopeo. E prosegue: “Negli otto anni che sono stato a Napoli, come quasi tutti i colleghi, ho avuto una presenza giornaliera costante con medie di orario 8-21. Esagerazione? No, sono macchine talmente complesse che se le abbandoni perdono immediatamente smalto. Non si tratta solo dei visitatori, ma del rapporto con il personale, la programmazione delle mostre, i cantieri, la ricerca, i rapporti con la città e le istituzioni (università, associazionismo, enti locali) e musei esteri”.

Se da un lato, infatti, i direttori temporanei che assumono l’incarico ad interim garantiscono il disbrigo delle questioni correnti, dall’altro la loro presenza per esempio esclude decisioni su mostre a lunga scadenza che comportino richieste di prestiti particolarmente numerose, così diventano pressoché nulle le collaborazioni con musei esteri, perché normalmente questo prevede inevitabilmente trasferte e impegni a vari livelli fuori sede. “Ogni giorno che passa il museo perde un pezzo di relazioni e di organizzazione perché il grande merito della riforma è stato quello di aver pensato a un allenatore che in ogni momento è presente – aggiunge Giulierini -. Un museo è fatto di persone prima che di opere e le persone reclamano a grande voce questo tipo di rapporto, tanto gli interni che i cittadini. Non è insomma possibile seguire le cose saltuariamente. O meglio, è possibile, ma a velocità ridotta e senza un nitido quadro strategico con obiettivi da raggiungere in tempi certi e dichiarati”. E se vogliamo parlare di situazioni rallentate, se non proprio stoppate, l’ex direttore del Mann sottolinea che nell’anno appena trascorso, senza un dirigente dedicato, hanno “frenato” vari progetti tra cui quelli legati “ai sotterranei del museo, tutte le sezioni che dovevano essere riallestite (Neapolis, Cuma, sezione orientale, dei vasi Greci) e l’assegnazione del ristorante”.

In cauda venenum: alcuni dei 16 nuovi musei di seconda fascia, la cui nascita fu annunciata alla fine di luglio del 2023, sono ancora senza Consiglio di amministrazione (organo fondamentale che serve per approvare qualsiasi tipo di spesa) e di Comitato scientifico, cioè praticamente paralizzati nella loro attività. Viene quasi da pensare che ogni volta che entriamo in un museo ci si può stupire sia per la tanta bellezza che ci viene offerta sia per la porta aperta che ci permette di entrare e di ammirarla. Oggi accade, domani chissà.